All’interno di una logica militare di guerra non ci sarebbe da stupirsi della decisione di alcuni governi occidentali di autorizzare l’uso delle armi donate all’esercito ucraino anche per colpire obiettivi in territorio russo, cioè del nemico. Piuttosto, un osservatore superficiale non capirebbe perché non sia stato fatto prima.
D’altra parte se si ritiene davvero indispensabile aiutare l’Ucraina a difendersi dagli attacchi di missili e droni russi che bombardano le sue città, è ovvio che si debbano poter colpire le postazioni da cui quelle armi distruttive partono. Perché allora quel tentennamento e addirittura la passata proibizione di usare le armi verso il territorio russo? La risposta è naturale e rientra nel gioco dell’ipocrisia con cui la propaganda cerca di mistificare i fatti.
Innanzitutto con la menzogna si continua a ripetere che non è in atto una guerra della Nato contro la Russia, bensì si tratta solo di aiutare la difesa di un popolo e di un Paese aggrediti. In realtà si è sempre temuto che qualora la Russia si sentisse colpita all’interno del proprio territorio con armamenti occidentali, Mosca potrebbe interpretare tutto ciò come una vera e aperta dichiarazione di guerra e agire di conseguenza.
Almeno fino ad ora, e proprio nel filone dell’ipocrisia che dicevamo poc’anzi, le due parti combattenti, e cioè la Nato e la Russia, hanno continuato, come in una partita di poker, ad alzare ciascuno di loro la posta. Gli occidentali, cercando di nascondere la mano, hanno aumentato strada facendo il potenziale distruttivo delle armi inviate a Kiev e Mosca ha continuato a rispondere minacciando ritorsioni sempre più pesanti (compreso l’uso dell’arma atomica) per cercare di scoraggiare il sostegno che l’occidente stava dando alle truppe ucraine.
Nonostante l’autorizzazione, testé rilasciata da altri Paesi Nato all’uso più indiscriminato delle loro armi, gli statunitensi lo hanno fatto ponendo tuttavia ben precisi paletti. Non a caso si è data a Kiev una lista di postazioni russe contro cui non usare le armi offensive, e in particolare si tratta di alcune località da dove partono sì gli attacchi contro l’Ucraina, ma vi sono anche istallazioni utili a rivelare possibili minacce atomiche in arrivo da occidente. Sono, in questi casi, una rete di sorveglianza che mira a garantire i russi di non essere colti di sorpresa da un possibile attacco atomico americano. È evidente che un bombardamento ucraino su queste località potrebbe mettere fuori uso quello “scudo protettivo” e Mosca potrebbe, comprensibilmente, ritenersi indifesa o addirittura immaginare che la distruzione di quelle apparecchiature di sorveglianza sia propedeutica ad un attacco nucleare americano contro la stessa Russia. Da qui la “semi-prudenza” statunitense.
Gli Usa non vorrebbero provocare la Russia o minacciare la sua capacità di deterrenza strategica, poiché ciò potrebbe portare a pericolose conseguenze per tutti. Il presidente russo Vladimir Putin ha chiaramente avvertito che tali azioni non saranno tollerate, vedendo nei raid condotti con armi americane non solo una minaccia militare, ma anche un colpo psicologico e simbolico.
La risposta della Russia a questo nuovo appesantimento del conflitto è stata, per ora, un ultimatum urlato a gran voce con la minaccia di ricorrere subito a un possibile utilizzo dell’arma atomica. Non risulta che gli altri governi, se pure abbiano autorizzato l’uso di armi di fabbricazione Usa consegnate all’Ucraina, abbiano imposto le stesse condizioni, ma se ciò fosse vero dimostrerebbe soltanto l’inadeguatezza intellettuale e politica dei governanti di questi Paesi.
È certo che da una parte e dall’altra si stia alzando la posta a parole, magari sperando di intimidire il nemico e obbligarlo così a più miti consigli, ma proprio come succede nel gioco del poker, può capitare che prima o poi qualcuno “vada a vedere”.
La storia ci insegna che raramente chi provoca o scatena le guerre riesce a misurarne in anticipo la durata e l’esito. Spesso è accaduto che le parti sperassero nell’efficacia di semplici minacce o contassero su una indiscutibile superiorità bellica, e invero nessuno inizia un conflitto sapendo di perderlo. Anche in questo caso nessuno dei contendenti si augura un allargamento del conflitto, ma come succede in natura ogni valanga inizia con il movimento di una piccola massa apparentemente quasi insignificante e si trasforma strada facendo in distruttivo disastro. Potrebbe essere sufficiente un piccolo “incidente”, forse del tutto casuale, ad innescare reazioni non più arrestabili.
Chi ha voluto iniziare ad “abbaiare” alla Russia, come ha detto il Papa in modo colorito, era certamente convinto di poter andare fino in fondo senza gravi conseguenze. Anche chi in Europa ha assecondato quell’iniziativa non ha saputo prevedere né le conseguenze militari, né quelle politiche, né quelle economiche. Sia gli americani che i vassalli europei erano all’inizio convinti che Mosca non avrebbe osato reagire al colpo di Stato di Euromaidan e che, dopo le risposte in Crimea e in Donbass, le sanzioni economiche avrebbero messo in ginocchio la Russia obbligandola ad accettare lo status-quo voluto dagli occidentali.
I fatti dimostrano che si è trattato di una pura illusione e il continuo innalzare la posta, purtroppo, ci sta portando sempre più vicino ad una situazione che potrebbe diventare estremamente pericolosa.
Una reazione forte e distruttiva di Mosca verso uno qualunque degli Stati che stanno dando armi letali all’Ucraina potrebbe far scattare l’art. 5 della Nato e tutti i membri dell’Alleanza sarebbero “obbligati” ad intervenire in difesa del Paese colpito. Compreso coloro che, come l’Italia, hanno annunciato di non autorizzare l’uso di quelle armi sul territorio russo. Ecco allora che il fantasma di una guerra mondiale non è più così inverosimile.