Gli statunitensi che da Haiti intendono recarsi nella vicina Repubblica Dominicana dovranno farlo prima di domani, giovedi’ 14 settembre. E’ quanto avverte l’ambasciata Usa presso Haiti, ricordando la minaccia della chiusura integrale delle frontiere effettuata dal presidente dominicano, Luis Abinader, in risposta alla costruzione, considerata abusiva, di un canale sul fiume binazionale Masacre.
“Se si produce la chiusura, i cittadini che hanno in programma di uscire da Haiti verso la Repubblica Dominicana, dal 14 settembre non potranno farlo e dovranno scegliere soluzioni alternative”, si legge nella nota. “L’ambasciata degli Stati Uniti non puo’ intervenire nell’ingresso nella Repubblica Dominicana attraverso una frontiera chiusa”, aggiunge la rappresentanza diplomatica.
Il monito del presidente dominicano – nuova possibile tappa nelle tensioni tra i due Paesi che si dividono l’isola caraibica Hispaniola – era stato lanciato a inizio settimana. “Non voglio essere ottimista o ingenuo. Spero che la sensatezza vinca da qui a giovedi’”, altrimenti “non abbiamo nessuna alternativa”, ha detto Abinader in conferenza stampa.
Nel mirino di Santo Domingo un “canale privato” che “imprenditori haitiani” starebbero costruendo per deviare parte delle acque del Masacre, fiume che corre lungo la frontiera, verso una riserva destinata ad alimentare l’agricoltura delle loro aziende. “Se la situazione non si risolve prima di giovedi’, chiuderemo completamente la frontiera al commercio aereo marittimo e terrestre”, ha insistito Abinader.
La costruzione del canale rischia soprattutto di lasciare a secco le risaie e togliere acqua preziosa agli allevamenti di bovini per la produzione del latte, le due principali risorse economiche della strategica citta’ dominicana di Dajabon. Il governo di Haiti, peraltro non riconosciuto da tutti gli attori politici interni, condanna l’iniziativa degli imprenditori, ma non adotta – secondo Santo Domingo – i passi necessari a mettere fine ai lavori. E in attesa di una risposta dalle autorita’ haitiane, Abinader ha da subito attivato una serie di misure: frontiere chiuse a tutte le persone ritenute coinvolte nel “conflitto idrico”, gli artefici del canale definiti responsabili del “peggioramento delle relazioni bilaterali”. Viene quindi sospesa l’emissione di nuovi visti che normalmente vengono richiesti dai cittadini haitiani per poter uscire dall’isola usando gli aeroporti dominicani.
Nell’immediato viene inoltre riaperto un canale nei pressi di Dajabon operante fino a una quindicina d’anni fa, per permettere – in emergenza – di garantire un flusso d’acqua ai produttori dominicani. E per evitare altre brutte sorprese nel lungo periodo, il governo Abinader decide di aprire da subito la gara per la costruzione della diga Don Miguel, da realizzarsi entro trenta mesi. Da lunedi’ e’ inoltre chiusa la frontiera nei pressi di Dajabon, luogo che ospita due volte a settimana un mercato essenziale per le economie locali, fonte di reddito diretta e indiretta per molte famiglie che insistono sul territorio.
Incidentalmente, il presidente ha ricordato lo stato di avanzamento del muro che il governo sta erigendo lungo la frontiera, sviluppato “al 90-92 per cento” nella zona di Dajabon. Una struttura che, assicura, sta gia’ dando a cittadini e operatori dominicani protezione dalle scorribande della “400 Mazowo”, una delle potenti bande criminali che operano nel paese vicino.
La risposta dominicana, che Abinader si appresta a comunicare agli organismi internazionali per certificare il rispetto del diritto internazionale, muove da una serie di strumenti legali firmati lo scorso secolo dai due Paesi: il Trattato di Pace e amicizia perpetua e arbitrato del 1929, l’Accordo frontaliero del 1935 e il Protocollo di revisione della frontiera del 1936.
“In ragione del fatto che fiumi e altri corsi d’acqua nascono nel territorio di uno Stato e corrono su quello dell’altro, o servono da limite tra i due Stati”, si legge all’articolo 10 del primo dei documenti, “le parti si impegnano a non fare ne’ permettere la costruzione di opere suscettibili di cambiare il corso degli stessi”. Il che, si precisa nel primo comma, non impedisce ai firmatari di usare “in modo giusto ed equo” le acque che attraversano i territori.