Ieri, 31 luglio, è uscito l’ultimo numero del quotidiano ‘L’Unità’, fondato da Antonio Gramsci. Ce lo segnala, tra gli altri, Alfredo Llana, Segretario del Circolo del Partito Democratico di Buenos Aires, con una mail amareggiata che porta il titolo: ‘Una grande perdita’. Oggi è il primo giorno senza la famosa testata.
L’Unità ha rappresentato per novant’anni (1924-1944) il mondo della sinistra italiana. E’ stato il giornale che ha informato e formato contadini, operai, impiegati, sindacalisti, politici, emigrati; durante la dittatura fascista, la seconda guerra mondiale, la tragedia della divisione della classe operaia successiva alla fine dei governi unitari, la guerra fredda e l’epoca dell’eurocomunismo.
Giornale di partito (P.C.I, P.D.S., D.S.), l’Unità era anche simbolo di una cultura e di una cosmovisione che univa tutti coloro che si riconoscevano nella sinistra e nei suoi valori sociali, etici e politici. E gli attivisti del P.C.I. facevano a gara per distribuirlo per le strade, ai semafori, nei luoghi di riunione, così come i cattolici, che si riconoscevano prevalentemente nella D.C., distribuivano nelle parrocchie Famiglia Cristiana.
Anche per gli emigrati l’Unità costituiva un simbolo importante: luogo di informazione e formazione politica e sindacale, collegamento con quel partito, il P.C.I., che molti di loro sentivano più affine e sensibile alle proprie esigenze, problemi e vissuto; ultimo legame, affidabile, con la madrepatria – da cui erano stati respinti ma che continuavano ad amare e a ricordare, talora con infinita nostalgia. La stessa funzione veniva svolta da Famiglia Cristiana nell’ambito degli emigrati cattolici.
La caduta del muro di Berlino, la fine dei regimi comunisti, la trasformazione del P.C.I. in P.D.S. e poi in D.S., ha segnato una progressiva disaffezione nei confronti dell’Unità: nell’89 il giornale, sempre diretto da un dirigente del P.C.I, viene affidato a un direttore non dirigente del partito, un segnale interessante; nel 1991 cambia l’intestazione, da “Giornale del Partito Comunista Italiano" a "Giornale fondato da Antonio Gramsci". Con il 1992 comincia l’era dei gadget e il giornale perde del tutto la sua natura originaria. Nel 1997 cambia la proprietà e del famoso giornale della sinistra si impadroniscono imprenditori di professione (analogo destino subirà il socialista l’Avanti). Da allora non c’è più storia, ma un continuo e vorticoso cambiamento di direttori, impostazioni e proprietà.
E’ vero che i rami secchi vanno tagliati, ma l’Unità era diventato simbolo di uno schieramento politico e della sua storia, dei suoi uomini, della grandezza di una cultura che in Italia aveva raggiunto vette notevoli e compiti storici indimenticabili. Basti pensare che il giornale aveva avuto come direttori letterati e filosofi, oltre allo stesso Gramsci, di sicura fama. E i simboli vanno protetti, come si proteggono le vestigia e i monumenti; un esempio è l’Enciclopedia ‘Treccani’ fondata durante il fascismo e gelosamente curata ancora ai nostri giorni.
Dal 1989 in poi i segretari politici del P.C.I.-P.D.S.-D.S. hanno cominciato a nutrire una evidente disaffezione nei confronti dei simboli del passato. L’Unità ne è un esempio; come pure la vendita del ‘Bottegone’, il palazzo di via delle Botteghe oscure sede del P.C.I.; salvo poi pagare, a partire dal 2000, affitti equivalenti agli interessi per i debiti del partito nella nuova e scomoda sede di via Milano. Stessa sorte, e negli stessi anni, tocca alla Casa Editrice ‘Editori Riuniti’ che poteva vantare un catalogo eccezionale. Una vera e propria furia iconoclasta, voglia di dimenticare e far dimenticare il ‘passato’ comunista come qualcosa di cui vergognarsi. Come se papa Bergoglio, per far dimenticare gli eccidi dell’Inquisizione, decidesse di vendere la Basilica di San Pietro a Mc Donald’s.
Nietzsche ci ha istruito sull’utilità e il danno della storia per la vita; l’utilità sta nel non perdere mai il contatto con il passato; il danno nel farsi irretire da esso. La sinistra italiana ha un passato di cui essere orgogliosa, con tutte le pecche tipiche di ogni formazione politica in un contesto difficile quale quello del Novecento. Gramsci e l’Unità fanno parte di questo passato da custodire e da cui trarre, senza eccessiva devozione, insegnamenti e linee politiche. Possibile che, con tutti i soldi presi dal finanziamento pubblico dei partiti e quelli, sempre pubblici, sprecati nella costellazione di inutili fondazioni e associazioni culturali di sinistra, non si sia pensato di conservare ‘luoghi’ tanto importanti per la maggior parte dei militanti? Forse nessuno dei leader lo ha voluto. La memoria ‘pesa’, come compito e direzione. La crisi odierna della sinistra gramsciana e riformista in Italia potrebbe essere il segno della perdita di questa memoria. Peccato.
*email da Buenos Aires, Argentina
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