Si sentiva a disagio Roberta Sacco, storica segretaria di Claudio Scajola. Si sentiva a disagio per quelle continue frequentazioni che il suo ”datore di lavoro” aveva con Chiara Rizzo, moglie di Amedeo Matacena: pranzi in ufficio, fiori inviati anche quando la donna era in crociera, biglietti per il Festival di Sanremo. Tutti incontri e contatti sui quali Scajola le chiedeva la massima riservatezza, soprattutto nei confronti della famiglia.
E’ la stessa Sacco – che proprio oggi e’ tornata libera per decisione del Tribunale della liberta’ di Reggio Calabria – che racconta di questo suo stato d’animo in un memoriale inviato ai magistrati della Dda di Reggio Calabria pochi giorni prima del suo interrogatorio, quando era ancora ai domiciliari con l’accusa di avere concorso nel favorire la latitanza di Matacena dopo la condanna definitiva dell’ex deputato a cinque anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Un ”disagio” espresso chiaramente al suo ”capo” con un’esternazione che pero’ ”non ha prodotto alcun esito. Era lei, la ”bravissima, bravissima, bravissima” Roberta ad allestire il pranzo con un servizio di catering offerto da un bar ed a lasciare l’ufficio. Ed era sempre lei, a orari prestabiliti o dietro una telefonata del datore di lavoro, a tornare per sistemare. E quando la Rizzo non aveva la possibilita’ di spostarsi, era la Sacco che l’andava a prendere. Un "servizio" per il quale solo una volta ha ricevuto da Scajola 50 euro di rimborso ("neanche sufficienti"), mentre le altre volte si e’ dovuta accontentare di un grazie del suo "datore di lavoro".
Ma Scajola l’aveva anche incaricata di "verificare gli spostamenti della Rizzo", anche attraverso gli agenti della scorta del politico ed anche attraverso il controllo della targa della Porsche Cayenne della Rizzo. Lo racconta la Sacco nell’interrogatorio ai pm, specificando che, in un’occasione, dovette anche verificare se a bordo di un aereo preso dalla Rizzo vi fosse il costruttore Francesco Bellavista Caltagirone, che Scajola "sospettava intrattenesse una relazione con la Rizzo". Scajola le aveva anche confidato le sue "preoccupazioni" circa "l’amicizia con la signora Rizzo. In pratica – racconta la Sacco nel memoriale – pensava che potesse esserci qualcuno che si prendeva un po’ cura di lei, come faceva lui".
Tutto cio’ perche’ dopo una crociera fatta in compagnia di alcuni amici, la Rizzo "’sfuggiva’ e non riuscivano piu’ a vedersi e a concordare gli incontri come facevano prima".
Una situazione per la quale Scajola era "dispiaciuto" e "tendeva a voler sapere ogni spostamento di lei per poterne verificare la sincerita’". Anche perche’, e’ la tesi dell’accusa, in quei mesi era in ballo "l’affair Matacena", col progetto di spostare l’imprenditore da Dubai, dove si trova, in Libano per fargli ottenere l’asilo politico e sottrarlo alla cattura, grazie anche all’aiuto dell’imprenditore catanzarese Vincenzo Speziali, nipote omonimo dell’ex senatore del Pdl e che in Libano ci vive. Progetto del quale Scajola, riferisce la Sacco, non le ha mai parlato chiaramente.
"Ho dedotto che le operazioni gestite da Scajola, dalla Rizzo e da Speziali si riferissero a Matacena quando ho letto il fax" attribuito all’ex presidente libanese Amin Gemayel. Fax, spiega la segretaria di Scajola, il cui arrivo le era stato anticipato da Speziali, che la contatto’ per dirle che "sarebbe arrivato un documento riservato per Claudio Scajola". Lo stesso Speziali di cui aveva gia’ sentito parlare "quando Scajola era ancora ministro", ma senza ricordare "in che epoca cio’ avvenne".
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