Sarebbe poco saggio sottovalutare l’evoluzione politica che si sta schematizzando nel Bel Paese. Anche se non è possibile il rischio di un “ribaltone”, c’è da osservare l’evoluzione delle alleanze che consente a Gentiloni di mantenere attivo l’Esecutivo.
E’ improbabile, però, che il nostro Primo Ministro rimanga al suo posto sino al 2018. Anche se, date le incertezze politiche del momento, sembrerebbe più opportuno evitare elezioni al “buio” e senza una nuova legge in materia. Non a caso, si tenta di ricucire le incomprensioni per rafforzare, col tempo, possibili cobelligeranze; più di comodo, che di convincimento.
Non mancano, tuttavia, i malintesi. Anche nei Partiti di governo. Gli stessi diessini non sono tutti dalla stessa parte e la “minoranza” del partito ha buoni motivi per mantenere le sue posizioni antagoniste. Finiti i tempi delle plateali riconciliazioni, restano i dubbi per un Esecutivo che non descrive la globale volontà della maggioranza parlamentare che lo sostiene. Quando si tornerà al voto, potrebbero essere partiti “minori” a rivestire posizioni più strategiche che consentano un diverso potere contrattuale per dare sfogo alle situazioni più nevralgiche del Paese.
L’interrogativo resta il PD. Da solo non ha i numeri per correre e gli alleati di centro continuano a essere non affidabili. L’epoca delle mediazioni è finita. Siamo convinti che, entro l’anno prossimo, i partiti, piccoli e grandi, chiariranno la loro mansione ed evidenzieranno da quale parte intenderanno orbitare. Questo è il reale punto nodale della nostra realtà politica. Ma, poiché la Terza Repubblica è ancora giovanissima, resta da verificare se l’attuale Esecutivo sia messo nelle condizioni d’essere meno frenato dal dissenso parlamentare. I malintesi non dovrebbero, quindi, trovare riscontro tra chi ci governa e chi auspica di poterlo fare.
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