Saluti da Riccione o da Canazei: era il classico messaggio stampato sulle cartoline che, fino a qualche anno fa, riempivano le cassette postali delle famiglie italiane. Da tempo non e’ piu’ cosi’, cellulari, smartphone ed email hanno ormai irreversibilmente soppiantato la vecchia corrispondenza cartacea e allora il settore postale corre ai ripari con una revisione del servizio universale che, inevitabilmente, fara’ suonare il postino sempre piu’ raramente. La norma, che doveva finire nello Sblocca Italia ma che sarebbe slittata anche in considerazione del lavoro che si appresta a svolgere l’Autorita’ per le comunicazioni per una revisione delle reali necessita’ della popolazione in questa materia, parla chiaro.
Secondo la bozza in circolazione l’obiettivo e’ infatti quello di prevedere "ulteriori interventi di riduzione della frequenza settimanale di raccolta e recapito sull’intero territorio nazionale". In sostanza, si punta ad allargare quella deroga al servizio gia’ possibile "in presenza di particolari situazioni di natura infrastrutturale o geografica in ambiti territoriali con una densita’ inferiore a 200 abitanti/kmq", vale a dire la consegna della posta a giorni alterni. Questa misura, finora prevista "fino a un ottavo della popolazione nazionale", si allarga inoltre "fino a un massimo di un quarto".
Il problema a monte risiede proprio nella quantificazione del servizio universale, vale a dire dell’ammontare che Poste riceve per assicurare la consegna della corrispondenza a tutti, isole lontane e paesini sperduti di montagna compresi: prima dell’estate si e’ consumato lo scontro, con l’Autorita’ per le tlc che ha quantificato la cifra in circa 700 milioni per due anni (2011 e 2012), contro gli 1,4 miliardi rivendicati dalla societa’. Per questo, Poste ha parlato di "servizio non piu’ sostenibile", che "richiede un’attenta revisione del contenuto e delle misure economiche necessarie al suo finanziamento". La norma a cui lavora il governo, inoltre, punta a dare maggiori certezze a Poste, anche in vista della privatizzazione: per questo il contratto di programma diventa quinquennale (al momento e’ triennale), secondo un preciso cronoprogramma che prevede la firma entro il 30 settembre dell’anno di scadenza del precedente.
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