Dal centro di Israele, la testimonianza di Lara Baumann
Non sono solita scrivere di politica – italiana soprattutto – e non sento di potermi permettere di criticare le scelte e i voti dei cittadini di un paese in cui non vivo più da tempo e di cui non conosco più la realtà quotidiana. Ma in questi giorni Facebook è pieno di critiche e giudizi verso Israele, espressi anche da ebrei, non ebrei, arabi e chiunque pensa di conoscere la realtà dei fatti perché ha visto due minuti di telegiornale.
Le “rivolte” e i “pogrom” non rispettano la realtà israeliana. Esattamente come in Italia, dove non tutti sono razzisti, anche qui esistono dei gruppi (per fortuna minoranze) di estremisti: la cosiddetta “generazione TikTok”. Si tratta di giovanissimi criminali, cresciuti senza un’appropriata educazione, situati da entrambe le parti. Loro non rappresentano Israele.
Israele significa che nella mia unità militare la metà erano Drusi. Israele significa che a seguito di un brutto incidente, mi hanno dovuto operare di urgenza ed il medico era un chirurgo arabo. Israele significa che l’infermiere che più amavo era russo e quella che meno sopportavo era ebrea. Il mio fisioterapista è un ebreo religioso mentre io sono la paziente magra, laica ed indosso dei pantaloncini corti. Una ragazza delle mia stanza d’ospedale era una beduina e la sua famiglia quanto cibo che portava per entrambe!
Spiderman (il tipo caduto dal quinto piano) era un palestinese, cittadino della Cisgiordania. Medici e infermieri non hanno etnia e religione: sono medici ed infermieri. Venivano, mi aiutavano a fare la pipì, a mangiare, a farmi la doccia. Mi prendevano in braccio per mettermi seduta e cambiarmi le lenzuola. Mi facevano le iniezioni tutti i giorni.
Israele significa che sia nel mio corso come insegnante di nuoto, che nei miei studi da infermiera veterinaria, un terzo degli studenti sono arabi. Perché se hai una passione a nessuno importa da dove vieni! Israele è il mio vicino di casa omosessuale e invalido che ha il ragazzo arabo.
Israele però è anche correre al riparo quando suona la sirena anti missili: immaginatevi di star lavorando, o al bar o dove vi pare e improvvisamente sentire la sirena. Hai dai 15 ai 90 secondi per prendere i tuoi bambini ed il cane e riuscire ad entrare in un bunker. Se sei a casa magari hai la fortuna di averne uno, o di avere il sottoscala se vivi in un palazzo con più piani. Io vivo in una casa privata. Vado in corridoio e spero che l’Iron dome funzioni.
Sono troppo giovane per morire, penso. E se avessi dei bambini? Come potrei spiegare che cosa sta succedendo? Al mio cane ed ai gatti dico: “venite, venite è l’ora della festa” e li abbraccio fortemente. Vedo la mia coniglietta correre terrorizzata sotto il divano e spero che non muoia d’infarto (sono molto delicati). Sentiamo i boom, le finestre tremano. Altri boom. Il telefono che squilla per sapere se sto bene e poi guardiamo le news per vedere se ci sono feriti.
In passato non avevo paura, pensavo che sarebbero bastati gli antimissile, poi vivo nel centro del paese e per questo posso considerarmi come una privilegiata. Ma il numero di missili è talmente elevato che il sistema difensivo non riesce a neutralizzarli tutti: alcuni cadono persino nelle vicinanze. Potrebbero cadere ovunque ed anche su di me: su quella ragazza che parla con accento italiano e che salva gli animali dalla strada.
Così mi conoscono nel quartiere: “La ragazza dal cuore d’oro che si sveglia ogni tre ore per allattare i cuccioli orfani di gatto, quella vegana che un altro po’ non ucciderebbe neanche uno scarafaggio. Quella gentile, quella simpatica che quando esce in pigiama sembra avere 15 anni. Quella che a volte ha la stampella poverina”.
Allora io mi chiedo: ma che avrei fatto di male? Ma che hanno fatto di male i cittadini del Sud che vivono così da anni? Non sono poi diversi da me. Come fanno in troppi a credere che Israele e gli Israeliani vogliono una guerra, la leva militare, le tasse altissime, i morti, i feriti, la paura, ecc.? Nessuno vuole la guerra, ma tutti vogliamo che al sud del paese una persona viva una vita normale, con la sicurezza di andare al lavoro lasciando i bambini a scuola.
Ci si augura anche che il problema non torni ogni 3 anni. Gli amici nel sud del paese mi dicono: “tranquilla siamo abituati”. Ma come si fa ad abituarsi ad una cosa del genere? Israele ha il diritto e l’obbligo di difendere i propri cittadini, indifferentemente se sono arabi o ebrei, drusi, cristiani o beduini. Anche loro stanno nei bunker in fin dei conti. Anche loro hanno paura. Non è ebrei contro arabi. Non è Israele contro i palestinesi: è Israele contro il terrorismo. Alcuni da migliaia di chilometri di distanza, Italia compresa, alimentano solo l’odio con la disinformazione e con concetti estranei all’attuale situazione. Anche a costoro auguro Shalom.