“Quando un popolo non osa più difendere la propria lingua, è pronto per la schiavitù”. (Rémy de Gourmont, scrittore francese)
“Chi difende il buon italiano non difende la pedanteria, né rifiuta le innovazioni: difende invece il buon senso, e accetta le novità”. (Beppe Severgnini)
“La lingua italiana porta pericolo, non solo quanto alle voci o locuzioni o modi forestieri, e a tutto quello ch’è barbaro, ma anche (e questo è il principale) di cadere in quella timidità povertà, impotenza, secchezza, geometricità, regolarità eccessiva che abbiamo considerata più volte nella lingua francese (…). Conservare la purità della lingua è un’immaginazione, un sogno, un’ipotesi astratta, un’idea non mai riducibile ad atto”. (Giacomo Leopardi)
“Non c’è vizio che non possa trovar difesa”. (Lucio Anneo Seneca)
L’ASSALTO DELL’INGLESE
Temo che la nostra stupenda lingua italiana sia in via di estinzione. Lo scrivo con grande amarezza, come ho già fatto tante volte. Sto vivendo l’ultima stagione della vita, la senilità: indulgo perciò a tanti bilanci, che sarebbe meglio evitare, per desiderio di serenità. Ma non sono superflui, anzi li considero doverosi. Ebbene, a parte le riflessioni sulle vicende private e familiari (le più dolorose), mi angosciano molto gli assalti – quasi sempre in lingua inglese – alla nostra lingua.
BRAVA, ACCADEMIA DELLA CRUSCA
Per fortuna mi danno gioia, anche se il destino mi sembra ormai ineluttabile, i vigorosi interventi per difenderla: come ha fatto in questi giorni l’Accademia della Crusca, con una (meritatissima) bacchettata, al Ministero della pubblica istruzione, guidato dall’ineffabile Valeria Fedeli.
È LA MODA, BELLEZZA
Se aprite un giornalone o ascoltate un talk show qualsiasi, lo scempio della lingua italiana è evidente, l’invasione di vocaboli inglesi inarrestabile. Addirittura un’abitudine: sciocca, insensata, pretenziosa. Più o meno come farsi un tatuaggio, esibire un orecchino al naso, ostentare jeans pieni di buchi e di strappi. È la moda, bellezza!
COME FERMARE IL VENTO CON LE MANI
Le parole straniere – inglesi al 99 per cento – sono decine, centinaia, migliaia. Opporsi è un’illusione: come se si volesse fermare il vento con le mani. Mi faccio dunque forza e mi limito a una rassegnata deplorazione.
MANZONI SCIACQUAVA I PANNI IN ARNO
Alessandro Manzoni andò a sciacquare i panni in Arno, per dare la miglior forma stilistica ai suoi Promessi sposi, prima di pubblicarli. E oggi? Probabilmente gli entusiasti anglofili sorridono, leggendo questo ricordo. Temo che i lettori più giovani non sanno neanche di cosa si stia parlando.
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Mi viene in mente una battuta in uno spassoso film di Carlo Verdone, alle prese con un esame scolastico. Domanda: “Quando è morto Manzoni?” E Verdone, sbalordito: “È morto Manzoni?.. Se lo sa mi’ nonna…!”.
COFFEE BREAK? BASTEREBBE DIRE PAUSA CAFFÉ…
È micidiale l’alluvione dell’inglese, in particolare quando si parla di affari, di moderne categorie e tecniche del lavoro. Ci si dà un tono, ci si mostra all’avanguardia. Fa fino! Ma a me viene l’orticaria. Perché ci arrendiamo all’inglese anche nel linguaggio, semplice, d’ogni giorno. Come ho detto, per compulsiva, futile moda. Sarò pedante, ma ecco un solo esempio: che bisogno c’è di dire “Coffee break”? Basterebbe “Pausa caffè”.