Dall’entrata in vigore della legge 132/2018, chi è coniuge di cittadino/a italiano/a o è cittadino comunitario, ed ha la titolarità di una carta di soggiorno o di un attestato di soggiorno, riceverà dalla Prefettura di Ferrara una lettera in cui si intimerà di portare in Prefettura, entro 10 giorni, la certificazione attestante la conoscenza della lingua italiana, pena il rifiuto della cittadinanza, la cui istanza, ricordo, costa ed è costata 250 euro.
Questo succede anche in presenza di figli nati in Italia.
Ovvero anche lo straniero che conosce molto bene la lingua italiana ma non ha tale certificazione, non potrà chiedere di sostenere un esame, per esempio, per dimostrarne la conoscenza, ma entro 10 giorni e non di più dovrà dimostrare di avere la prova che l’esame l’ha già superato in passato. Prova che potrebbe riguardare addirittura la conoscenza di un livello B1 che solo l’università di Perugia o di Siena possono attestare.
Chi invece è straniero e ha il permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo non deve dimostrare di possedere tale certificazione.
Dove risiede il problema: qui non si contesta il fatto che gli stranieri debbano conoscere la lingua italiana, conoscenza indispensabile e che serve per adempiere ai propri doveri e vedersi riconosciuti i diritti sanciti dalla legge vigente, ma si contesta la qualità di una norma a mio avviso ingiusta, violenta e discriminatoria; per nulla rispettosa delle persone che oggi reclamano il diritto ad ottenere il riconoscimento della cittadinanza al pari di altri connazionali.
Siamo di fronte dunque ad una legge che discrimina chi è europeo o familiare di cittadini italiani o europei.
Questo ancora una volta per confermare che le leggi quando riconoscono un diritto sulla base di principi fortemente discriminatori nei confronti di una parte della popolazione, producono un danno anche agli altri: in questo caso in modo molto evidente ai cittadini italiani coniugi o figli minori.
Ma troppe persone non lo sanno.
Miriam Cariani