La propaganda è una brutta bestia, soprattutto quando c’è una guerra in atto. Non si presenta mai come tale ma, al contrario, si traveste da notizia fingendosi “neutra” e mischiandosi a dati incontestabili per rendersi più verosimile. L’uso dei termini utilizzati gioca un ruolo molto importante e, ad esempio, nel caso di governi nemici la propaganda usa spesso il termine “regime” e i bombardamenti, se amici, li definisce più innocentemente “air strikes”. A volte si limita a tacere alcune notizie considerate “negative” o attribuisce al nemico atti disdicevoli commessi, invece, dalla parte che ne parla. Un esempio evidente ed eclatante di come si può mentire a lungo e con successo fu il massacro dell’intellighenzia polacca da parte dei sovietici (nelle fosse di Katyn) che, fino alla caduta del regime, continuarono a far credere che fosse stato commesso dai nazisti e non da loro. L’esempio del silenzio, tra i tanti, fu quello riguardanti le foibe giuliane: non se ne poté parlare fino a che il Partito Comunista Italiano riuscì a monopolizzare l’informazione e la cultura.
Il moltiplicarsi e l’enorme diffusione degli strumenti di comunicazione ha reso l’uso della propaganda ancora più pervasivo. Si tratta, in effetti, di creare una pseudo-verità talmente ripetuta concordemente che non possa essere messa in dubbio: se tutti dicono la stessa cosa, allora deve essere vera. Chi pensa di poterla contestare citando luoghi e fatti che contraddicono la versione ufficiale viene, nel migliore dei casi, emarginato e zittito, nel peggiore additato come diffusore di fake news o “complottista”. Se persiste, lo si addita come un traditore e quindi amico del nemico. Oggi non c’è Governo al mondo che rinunci a ricorrere a tali strumenti e sull’argomento sono anni che escono libri che spiegano come sia possibile manipolare le opinioni pubbliche affinché il pensiero “utile” diventi il “pensiero unico” e cioè “la verità”.
Esempi importanti di pubblicazione sull’argomento sono: Falsehood in wartime, di Arthur Ponsonby pubblicato a New York nel 1929; Propaganda: The formation of men’s attitudes, di Jacques Ellule anche questo pubblicato a New York nel 1965; Principes elementaires de propagande de guerre, Parigi 2001 di Anne Morelli. Il più recente, per quanto mi risulti, è lo studio di un giovane tedesco, Johannes Menath, uscito in Germania nel 2023: Moderne Propaganda. Tutti questi libri son pieni di riferimenti a come evidenti falsità siano assorbite dalle popolazioni cui erano state indirizzate riuscendo a modificare i loro sentimenti e, frequentemente, i loro comportamenti e le loro scelte. Anche nei regimi più truci, i sentimenti dell’opinione pubblica rivestono notevole importanza e, in modo particolare la propaganda è ritenuta utilitaristicamente indispensabile per motivare le proprie truppe al fronte e scoraggiare quelle nemiche.
Anche se, formalmente, l’Italia e l’Europa oggi non sono in guerra, è chiaro a tutti che i governi del nostro continente, seguendo i desideri americani, hanno scelto da che parte stare nel conflitto in corso tra la Russia e l’Ucraina e non certo dalla parte di Mosca. Il perché di questa scelta, che sembra alludere a un certo masochismo europeo e alla condizione di vassallaggio dei nostri governi verso Washington, è argomento che ho già trattato in articoli precedenti e non mi dilungherò ora. Ciò che ritengo di fare adesso è di mettere in evidenza alcune delle contraddizioni che nella foga di ubbidire in toto a diktat altrui (ma mai ufficiali) i nostri media tacciono o mistificano.
Per quanto riguarda i silenzi è sufficiente ricordare come tutta la stampa mainstream finga di credere che questa guerra sia cominciata solo nel Febbraio 2022 e sia stata scatenata dalla Russia senza alcuna provocazione dell’occidente. Non si troveranno nemmeno allusioni alle intromissioni nella politica ucraina che americani, britannici e polacchi hanno continuato a fare dal momento della fine dell’URSS, né si parlerà mai dei colpi di stato lì organizzati nel 2006 e nel 2014: li si definisce sempre e soltanto come “rivoluzione arancione” e “rivoluzione di Maidan”. Anche i lettori o gli ascoltatori più attenti è ben difficile che sentano citare il libro (1997) dell’ex Segretario di Stato USA Zbigniew Brzezinski nel quale sosteneva come il possesso dell’Ucraina fosse indispensabile per garantire l’espansione del potere americano verso il Centro-Asia.
È quella stessa stampa che non ha mai voluto parlare del numero di civili uccisi dalle bombe e dalle artiglierie ucraine nel Donbass a partire dal 2014. Così come tace sul fatto che sia stata proprio l’Ucraina, con l’avvallo di americani ed europei, a non volere applicare gli accordi di Minsk della fine del 2014 e dell’inizio del 2015. Eppure, l’attuazione di quelle intese, allora sottoscritte da tutte le parti in causa, avrebbe sicuramente evitato lo scoppio della guerra.
Torniamo alla propaganda “diretta”. Recentemente, il Tribunale Penale Internazionale cui non aderiscono né l’Ucraina né la Russia né gli Stati Uniti (e nemmeno Cina, India e altri) ha deciso di condannare il presidente russo Putin per aver “deportato” in Russia bambini trovati senza accompagnatore nelle zone del conflitto. La stampa occidentale ha continuato ad insistere su questo argomento per suscitare una comprensibile riprovazione ma tacendo volutamente due cose (tra l’altro): che quei minori in Russia sarebbero stati lontani dai rischi della guerra, che erano in maggioranza di lingua ed etnia russa e che nessuno di loro, che si sappia, è stato maltrattato. Detto tra parentesi, la stessa cosa fu fatta dagli USA nell’immediato dopo guerra in Italia poiché “deportarono” negli Stati Uniti, e definitivamente, migliaia di ragazzini italiani orfani o di famiglie ridotte in estrema povertà a causa del conflitto. Allora lo si considerò, correttamente, un atto di generosità e non un crimine penale.
È bene sapere che quello stesso Tribunale Penale Internazionale che è stato così sollecito nell’addossare ai russi le peggiori malefatte (probabilmente vere) è lo stesso che durante il conflitto degli USA in Iraq aveva ricevuto da varie fonti ben 360 denunce per crimini di guerra (provatamente veri) commessi dalle truppe americane e li ha immediatamente archiviati senza nemmeno aprire la benché minima indagine.
Un interessante articolo di due docenti americani della George Washington University apparso nel novembre 2013 su Foreign Affairs e intitolato “La fine dell’ipocrisia- La politica estera americana nell’era della fuga di notizie” partendo dalle rivelazioni di Wikileaks denuncia l’ipocrisia degli Stati Uniti invitando il loro Governo ad un atteggiamento più conseguente. Cita il fatto che gli USA abbia predicato a lungo le virtù della non proliferazione nucleare ma, nello stesso tempo abbiano tacitamente accettato la nuclearizzazione i Israele e nel 2004 abbiano firmato un accordo con l’India, violatore del Trattato di non proliferazione, per aiutarla nel nucleare civile. Nel loro articolo mettono in evidenza come la propaganda di Washington a favore di “democrazia” sia stata costantemente contraddetta da tante intese con Paesi non democratici e addirittura gli USA abbiano favorito colpi di stato o siano intervenuti militarmente per sostituire governi magari democratici ma non graditi. Lo scopo dei due professori terminava con l’invito a evitare doppi standard come quello sulla tortura (ricordate Guantanamo? E Abu Ghraib?) o sugli attacchi informatici attribuiti a russi e cinesi e commessi precedentemente in gran quantità proprio da hacker governativi americani ai danni dei nemici (o le intercettazioni di vario genere perfino verso gli amici). Quanti media nostrani hanno mai osato effettuare le stesse comparazioni?
Dove diventa eclatante l’ipocrisia della nostra stampa a proposito della guerra in Ucraina è l’enfasi con cui, propagandisticamente, si riferisce dei civili uccisi dai missili e dalle bombe russe ogni giorno. Nessuno vuole ricordare, poiché considerato residuo di un passato ormai lontano, che nel Febbraio 1945 gli aerei anglo americani fecero più ondate di bombardamenti a tappeto sulla città storica tedesca Dresda, città ospedale totalmente smilitarizzata e senza alcuna valenza strategica. La rasero al suolo causando circa trecentomila vittime, tutte civili. In tempi molto più recenti, anche la Nato (con la partecipazione di bombardieri italiani) ha lanciato sulla Serbia ben 2300 bombardamenti in soli 79 giorni (poi i serbi si arresero) sganciando 420.000 bombe e usando a questo scopo anche uranio impoverito. È risaputo che tale materiale abbia una capacità di penetrazione molto superiore a bombe con altre leghe ma che si polverizza facilmente, si disperde nell’aria e avvelena tutto il terreno dove quella polvere precipita entrando così nel circolo alimentare. Nel 2015 la Serbia ha raggiunto il record europeo di mortalità da tumore maligno. Tra le bombe usate dalla Nato almeno mille furono quelle cosiddette “a grappolo”, ufficialmente proibite. Come mai nessuno fa il parallelo con ciò che sta succedendo oggi? Forse perché sarebbe un calcolo svantaggioso per coloro per cui noi parteggiamo? Detto per inciso, nei bombardamenti “chirurgici” sulla Serbia, furono colpiti 19 ospedali, 20 centri per anziani, 18 asili e 69 scuole. Nessun generale o politico di un Paese Nato fu mai rinviato a giudizio per “crimini di guerra”.
Un altro aspetto che assume la propaganda lo si trova nei “sondaggi d’opinione”. Oramai tutti sanno che il modo in cui la domanda è formulata e i termini che sono usati indirizzano il rispondente inconsapevole verso una soluzione o un’altra. Quando le risposte non sono quelle gradite da chi le formula, o si modificano i risultati finali o si preferisce fingere di non aver nemmeno lanciato il sondaggio. I sondaggi sgraditi, magari fatti da Paesi terzi, non sono mai considerati (i sondaggi globali mostrano che più della metà della popolazione mondiale vede oggi gli Stati Uniti come una minaccia- citato su Foreign Affairs del 10 gennaio 2023 sotto il titolo: Le radici della dipendenza di Washington dalla forza militare- di Monica Duffy Toft e Sidita Kushi). Se oggi si chiedesse una risposta sincera a italiani e tedeschi in merito al fatto se sia giusto o sbagliato ciò che i loro governi stanno facendo nei confronti dell’Ucraina è evidente che la maggior parte delle risposte sarebbe di disapprovazione, e ciò nonostante il bombardamento mediatico a sostegno degli aiuti all’Ucraina.
Eppure di questo tipo di sondaggi “sfavorevoli” non se ne vede traccia e, piuttosto, si fanno domande con la risposta scontata quali ad esempio se la guerra scatenata dalla Russia sia giusta oppure no o se è corretto considerare crimini di guerra l’uccisione di civili. Esempi di come si cerchi di influenzare l’opinione pubblica in una sola direzione sono numerosi e uno che non posso evitare di menzionare è la “fola” in merito al fatto che quella in atto sia una guerra della democrazia contro i regimi autoritari. A parte il fatto che, sin dal momento della sua indipendenza l’Ucraina non è mai stata una democrazia liberale (e continua a non esserlo) improvvisamente ci si dimentica che proprio la Polonia, membro della Nato, della UE e maggior alleato degli americani contro la Russia è stata oggetto di accuse di scarso rispetto per la democrazia da parte dell’Unione Europea fino alla minaccia (oggi apparentemente dimenticata) di interrompere totalmente i generosi fondi che da Bruxelles erano elargiti a Varsavia. Proprio a proposito di democrazia, risulta evidente a tutti che la Russia non sia una democrazia liberale (Putin se ne fa un vanto) e che oppositori e giornalisti non allineati vengono imprigionati o perfino uccisi.
Ebbene, perché non si dice la verità sul fatto che lo stesso comportamento è quello praticato in Ucraina da Zelensky e dai suoi predecessori? A Kiev tutti i membri del Parlamento non appartenenti alla maggioranza sono stati estromessi dalle loro funzioni e, ben prima dello scoppio della guerra, l’uso della lingua russa è stato messo fuori legge nonostante fosse la prima (e spesso unica) lingua usata da almeno il 25% della popolazione ucraina. Di alcuni oppositori non si ha più tracce e di quelli di cui si conosce la sorte si sa che sono stati imprigionati. Perché nessuno ricorda che l’Ucraina è lo Stato europeo più corrotto, tanto da obbligare il FMI a sospendere l’elargizione degli aiuti già negli anni passati? Perché non si è dato il giusto spazio alla notizia che ben otto giornalisti italiani che stavano a Kiev e che chiedevano di poter svolgere bene il loro lavoro andando a intervistare anche qualcuno nel Donbass sono stati espulsi dall’Ucraina? Perché all’inizio della guerra l’inviato della Rai a Mosca che aveva osato riferire il punto di vista del Cremlino sulla questione sia stato immediatamente richiamato in patria e sostituito con qualcuno più “allineato”? Forse perché nuoceva alla “giusta” propaganda voluta dalla Rai e dai nostri politici?