Il recente documento emesso dal Ministero dell’Economia in materia di politiche industriali è chiaro, l’olio di semi di girasole, alla base essenziale di numerosi prodotti alimentari (dai biscotti, ai prodotti fritti, passando per le creme spalmabili) scarseggia.
L’Ucraina detiene il 60% della produzione e il 75% dell’export e rappresenta il principale coltivatore di girasoli al mondo. Entro un mese, con l’attuale andamento dei consumi, le scorte di olio di semi di girasole sono destinate ad esaurirsi. E la situazione non prevede miglioramenti siccome si prospetta impossibile la semina questa primavera.
Intervenire sostituendo la materia prima è necessario nell’immediato per garantire continuità nella produzione e l’adattamento delle etichette deve essere repentino per informare il consumatore.
Oli vegetali ma quali?
Era il 2014 quando entrò in vigore il Regolamento Europeo 1169/2011 con l’obbligo di specificare quale tipo di olio vegetale fosse inserito nel prodotto. Prima di quell’anno gli oli vegetali erano segnalati in etichetta in modo generico, salvo volontari dettagli forniti dal produttore.
Così si scoprì cosa si celasse dietro il velo di Maya degli oli vegetali: un largo e diffuso consumo di olio di palma raffinato, nocivo per la nostra salute. Il rischio attualmente è che molte industrie si riversino, per i loro approvvigionamenti, su quest’ultimo.
Nella produzione industriale di prodotti pronti al consumo e nelle confezioni di oli di semi, oggi (date le critiche circostanze) possiamo trovare olio di palma, in queanto il Ministero dell’Economia ha autorizzato la sostituzione senza la modifica dell’etichetta.
Come riconoscerlo? L’olio di palma, grazie al suo alto quantitativo di grassi saturi, si presenta molto denso e dal colore biancastro. A seguito della raffinazione è inodore e insapore, quindi anche molto versatile nelle preparazioni.
Anche l’olio di cocco è un’alternativa considerata. Apparentemente più salutare, è in realtà il più ricco in grassi saturi (infatti si presenta solido a T ambiente).
Perché fa male l’olio di palma?
Dato per noto il fatto che l’olio di palma è ricco in grassi saturi che aumentano il rischio cardiovascolare, il motivo principale per cui va eliminato dalle nostre tavole, soprattutto quando a mangiare sono i bambini, risiede nelle sostanze cancerogene contenute. Ciò è stato denunciato da un documento del 2016 pubblicato da EFSA riguardo alla preoccupazione sul consumo di Glicidolo Esterificato (GE) che si forma in grandi quantità durante la raffinazione di quest’olio. Infatti, l’olio di palma usato dall’industria è TUTTO raffinato perché quello grezzo è molto sgradevole (colore, odore e sapore). Anche quello biologico è raffinato e contiene queste sostanze tossiche. Ad oggi non ci sono industrie che abbiano dimostrato, dati scientifici alla mano, di usare un olio di palma privo di cancerogeni.
GE è chiaramente pericoloso, è una sostanza cancerogena e genotossica, per cui non esiste dose sicura, sotto la quale non ci sono rischi per la salute. Anche una piccola quantità può essere dannosa perché in grado di modificare il DNA, la tossicità è soggettiva.
EFSA definisce come dose tollerabile (ma comunque non sicura): 0,4 microgrammi per kg di peso corporeo al giorno. In pratica un adulto che pesa 70 Kg si intossicherebbe con solo 10 gr di olio di palma. Un bambino di due anni che pesa 10 kg si intossicherebbe con soli 1,4 gr di olio di palma.
Consumando una monoporzione da 15 g di crema spalmabile al cacao e nocciola realizzata con olio di palma (in genere il 20% di questi prodotti sono costituiti da olio di palma) si supera la dose considerata tollerabile da EFSA per i bambini. Consumandone 2 cucchiai (40 g) si supera tale dose per un adulto.
Nell’olio di palma è il GE è contenuto in quantità molto maggiori rispetto ad altri olii raffinati: ben 4000 volte di più rispetto all’olio d’oliva e 6 volte di più rispetto all’olio di mais.
La rivincita dello strutto
Nostrano, fruibile, economico e con meno grassi saturi (rispetto a olio di palma, cocco).
Il problema rimane l’origine animale del prodotto che quindi ne vieta il consumo da parte di vegani e vegetariani. Utile però considerare che si tratta di un prodotto di scarto, il grasso viene ricavato dal tessuto adiposo “in esubero” del maiale, sottoposto a fusione termica.
Prevale, anche se lievemente, la percentuale di grassi monoinsaturi rispetto ai grassi totali, dimezzandosi così la quota di grassi saturi rispetto all’olio di cocco. Tale ricchezza in grassi monoinsaturi è indice di un’elevata stabilità al calore, rendendolo ottimo nelle fritture e nei prodotti da forno. Il punto di fumo si assesta oltre i 200 gradi, evitando quindi che si formino sostanze nocive come i contaminanti di processo.
Che dire riguardo alla sostenibilità ambientale ed economica? Meglio l’olio di palma o di cocco raffinati e provenienti da Paesi lontani oppure lo strutto, utile per recuperare scarti di produzione italiana?
La Cucina Antiaging Sceglie anche lo strutto
Invitata a Porta a Porta, la dott.ssa Chiara Manzi , massimo esperto di cucina antiaging, spiegava perchè lo strutto fosse il miglior grasso per friggere, tra le contestazioni dei presenti. Nel primo ristorante al mondo di cucina Antiaging lo strutto non è disdegnato e si utilizza nelle ricette della tradizione romagnola, come l’erbazzone della longevità.