Non è stato un anno facile. Se non sempre brutto, almeno difficile. L’incipiente crisi del 2008 si è acutizzata nel corso di un mirabolante 2011 appena concluso, durante il quale abbiamo imparato a capire il significato di nuovi termini nuovi, abbiamo compreso logiche di mercato che prima ci erano ignote e soprattutto ci siamo convinti che le agenzie di rating, così come la quasi totalità degli organi di controllo nazionali e sovranazionali, confezionano voti politici, comprati ed inflazionati. Mi pare una conclusione più che ragionevole.
E se per il panorama mondiale ed europeo non è stato rosa e fiori, certo non è andata meglio per il nostro Paese, che ha trascorso un brutto compleanno. Per il suo 150esimo, l’Italia ha scoperto che a distanza di secoli c’è chi ancora tenta di boicottare l’Unità, chi voleva ridurre od eliminare il budget per i festeggiamenti, quasi fosse uno spreco. Oltre i freddi calcoli, con orgoglio siamo tenuti a salvare ciò che i Padri Costituenti hanno ottenuto con il sangue.
Abbiamo capito che non siamo più sovrani: "L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al Popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione." Così recita l’Art.1 della legge fondamentale dello Stato Italiano, che oggi come mai sembra essere davvero la carta dei sogni. Democrazia e Lavoro, concetti che soffrono nell’Epoca dei Governi Tecnici non eletti e della disoccupazione latente e strutturale che si diffonde impietosamente, nell’era del saggio interesse al posto del saggio di profitto imprenditoriale.
Certamente il 2011 ha segnato la fine del ciclo berlusconiano, anzi del Berlusconi in prima linea, eterno combattente dell’agone politico. C’è chi ha festeggiato con bottiglie di champagne come Bersani, gli indignados e tutti i comunisti italiani, uomini di sinistra, o semplici detrattori del Cavaliere. E poi c’è chi ha pianto, da Emilio Fede a gran parte del popolo di centrodestra, i forzisti della prima ora da sempre legati all’ex Premier da un sentimento morboso, quasi d’amore per l’eterno Presidente. Uomini così nascono per essere amati od odiati, c’è poco da fare; e la questione sarà vista sempre e comunque da occhi faziosi dai due o più schieramenti in campo.
Quello che più brucia non sono tanto le dimissioni, ma le modalità. Oggi si scopre che sarebbe stato per una telefonata di Merkel a Napolitano, piuttosto che per le ripetute "minacce finanziarie" ai titoli azionari di Berlusconi. Insomma, qualunque sia stato il leitmotiv, è sicuro che lo spin-off non è giunto dal Popolo Italiano che ha chiamato nel 2008 in causa questa coalizione per governare fino al 2013, ma fattori esterni al Paese.
Di fronte a qualunque tipo di difficoltà, quando un Governo perde la fiducia ci si aspetterebbe lo scioglimento delle Camere ed il ritorno alle urne. Invece ci hanno detto – forse in ritardo – che la malattia del Paese era grave, e che c’era bisogno di sostituire il dottore. Avremmo accettato tornando ad esprimerci liberamente, ma qualcosa è andato storto e ci hanno detto che il chirurgo doveva arrivare da fuori; e che, soprattutto, non potevamo sceglierlo noi. Un Parlamento che avesse avuto orgoglio nazionale e fosse vero garante della volontà popolare, si sarebbe ribellato. Ma siamo in Italia, ed abbiamo accettato con sperticate lodi il nuovo "Salva-Italia", come il decreto. Per non parlare delle Borse in picchiata, i nostri titoli di Stato che per alcune aste hanno reso l’8%, e tutte le tempeste che abbiamo dovuto affrontare e in cui ci stiamo ancora barcamenando.
E il 2012 cosa ci riserverà? E’ presto per dirlo, ma sicuramente c’è euforia nell’abbandonare un’annata così tormentata. C’è ancora speranza e la voglia di riscatto. Ci sono storie e realtà che ci danno il coraggio di andare avanti, perché in momenti bui come questi la paura fa da padrona nelle coscienze, ma è necessario ritrovare la forza. Senza Paura non può esistere il coraggio. Oggi abbiamo la possibilità di fare emergere l’Italia migliore, l’Italia pulita, quella che crea, inventa e lavora. L’Italia delle migliaia di micro-imprese che danno lavoro e non chiudono bottega nonostante i rubinetti del credito chiusi. L’Italia che non delocalizza e che crede nel territorio. L’etica che ci dice di restare, l’amore per questo Paese che non ci fa mollare mai, che ci fa vivere sicuri che il meglio deve ancora arrivare. Insomma, oggi l’Italia dell’ottimismo ha la possibilità di dirci ancora una volta che possiamo farcela, in 150 anni ne abbiamo passate tante, e siamo usciti sempre vincitori. Siamo un grande Popolo, diamo una grande svolta al futuro. Buon anno.
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