Ci sono convinzioni che quando attecchiscono sono difficili da sradicare. E sono convinzioni che alternano fasi di grande diffusione a periodi di ‘stanca’. Quello che stiamo vivendo è un periodo, durante il quale il convincimento che la politica serva solo per farsi i propri affari, e che essa viene, sostanzialmente, utilizzata per ‘rubare’, ha raggiunto livelli altissimi. Per verificarlo basta attendere in un’anticamera di qualche professionista, o fare la fila a qualche sportello postale, o anche viaggiare in treno, e ci si rende conto di quanto sia largamente diffusa la voglia di scatenarsi in appassionate discussioni che hanno al centro la corruzione pubblica.
La discussione, mai animata dato che i partecipanti alla discussione si trovano sostanzialmente d’accordo, si snoda lungo un percorso che considera i tempi in cui viviamo i peggiori della nostra storia, dato che la corruzione viene considerata figlia esclusiva dell’attività delle più recenti classi dirigenti. Nella maggior parte dei casi, ciò avviene perché la gente ignora che la corruzione è stata sempre una costante, in ogni parte del mondo, da quando su questo pianeta ha dominato quell’animale (l’uomo) che è stato capace di organizzarsi, cioè capace di costruire per sé e per gli altri suoi simili, una organizzazione sociale, dandosi delle regole di convivenza. La rottura di quelle regole, da parte di una minoranza, ha portato, lungo i secoli, a convivere con la corruzione. E sempre, lungo i secoli, la corruzione è stata utilizzata per marchiare a fuoco la classe dirigente del tempo e, possibilmente, spodestarla dal ruolo dirigente che aveva acquisito. Ed è proprio in questi casi che l’attenzione sui corrotti, identificati (a torto o a ragione) con la classe dirigente al potere, era destinata a raggiungere l’apice. L’obiettivo, di chi soffiava sul fuoco, era sempre lo stesso e cioè isolare la classe dirigente del tempo per poterla, possibilmente, metterla fuori gioco. Superata la crisi e stabilizzato il nuovo gruppo dirigente, o sconfitti i ‘golpisti’, la corruzione era destinata a tornare sotto traccia.
Sbaglia di grosso, comunque, chi pensa che l’amplificazione ottenuta nel nostro periodo sia il frutto delle sconclusionate invettive grillesche, e non invece il risultato dell’azione perniciosa e truffaldina operata dai media, dai poteri forti, da settori editoriali impegnati nella vita politica, e dall’azione di quei magistrati che si muovono con l’obiettivo non di amministrare giustizia, ma di amministrare quella giustizia che essi considerano utile alla causa a cui si sentono votati.
Il risultato che sta di fronte a tutti è quello desolante di un processo che rischia di diventare autodistruttivo. Così come la chemio aggredisce, in un organismo, sia le cellule malate che quelle sane, lo stesso effetto produce l’aver alimentato l’odio contro le Caste spingendo ogni giorno pezzi consistenti di opinione pubblica verso il qualunquismo che, per sua natura, è semplicemente antidemocratico. Il tutto è stato aggravato dall’incremento della pressione fiscale che il governo tecnico di Mario Monti ha messo in piedi per fronteggiare illusoriamente la crisi.
C’è però una verità inoppugnabile. Se la deriva qualunquistica non è frutto del comico Beppe Grillo ma lo stesso è semplicemente un semplice e astuto raccoglitore di frutti prodotti da altri (la cui consistenza viene giornalmente amplificata artificialmente), e se coloro che hanno determinato l’attuale scenario, che tanto preoccupa gli spiriti liberi, non sono riusciti a realizzare gli obiettivi finali che si proponevano da diversi lustri, vuol dire che, malgrado tutto, la società in cui viviamo ha tanti e tali anticorpi che ha retto, e continua a farlo, malgrado gli scossoni a cui è stata sottoposta.
Chi rema contro, chi grida ‘al lupo, al lupo’, chi dipinge a tinte sempre più fosche la realtà, sa che dall’altra parte ci sono forze responsabili che non sono cadute nella trappola della provocazione e del ‘tanto peggio tanto meglio’, e pur pagando un forte ‘dazio’ hanno dimostrato nervi saldi e grande responsabilità non puntando al proprio effimero interesse, ma all’interesse di tutta la società. La partita è ancora aperta ma l’ottimismo, per la sua risoluzione, è quel quid in più che aiuterà a superare la difficile contingenza. A quelli che la pensano come noi: mai buttare la spugna, agli altri: non vendere mai la pelle dell’orso prima d’averlo ucciso.
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