Nel disinteresse generale Pechino si è conquistato un altro puntello per il controllo del mondo “mangiandosi” – letteralmente – la FAO, l’Agenzia delle Nazioni Unite che dovrebbe operare contro la fame nel mondo e che ha sede a Roma, in quel grande palazzo che Mussolini volle fosse il ministero per l’Africa Italiana.
Il vice-ministro cinese Qu Dongyu è stato infatti eletto direttore generale dell’Agenzia il che significa controllo sui fondi e un mare di assunzioni più o meno pilotate, ma soprattutto potendo dettare la “linea politica” futura.
Una vittoria insomma di grande significato politico e che la dice lunga su chi controlla concretamente le assemblee elettive del mondo.
La vittoria cinese lascia infatti sul campo, perdenti, il candidato georgiano sostenuto dagli USA e quello dei paesi europei che – pur essendo di gran lunga i paesi maggiormente “donatori” – non solo si sono divisi tra loro e quindi hanno perso, ma soprattutto hanno dimostrato quanto invece la Cina sia capace di fare “sistema” nel conquistare il voto dei paesi aderenti.
Con le buone o con le cattive (“Se non votate per noi vi tagliamo i crediti” è stato alla fine l’inno cantato da Pechino) la Cina ha conquistato infatti la gran parte dei voti dei 53 paesi africani, diventati economicamente quasi tutti sino-dipendenti e che sono oggetto della parte più rilevante anche degli aiuti FAO, ovvero un rivolo impressionante di risorse (miliardi di euro) che i vari paesi versano all’agenzia dell’ONU perché li distribuisca in progetti agro-alimentari e di assistenza dopo averne trattenuti larga parte per le consuete spese generali.
Silenziosa l’Italia, con però diverse voci di avvenuti “contatti” con Pechino in servile agreement in vista dell’apertura della fantomatica “Via della Seta” e la speranza quindi di robusti acquisti cinesi del nostro debito pubblico.