Subire violenze per amore, per paura o per tutelare i propri figli, sino a essere uccise da un uomo accecato dalla gelosia: sono i “delitti passionali”, un’eccessiva dose di adrenalina unita alla follia degli uomini contro le proprie donne, scatenata da un perverso senso d’impotenza, per aver perso il controllo su di loro.
Le storie di violenze seguono sempre la stessa triste dinamica: schiaffi, pugni, strangolamenti e stupri, e non di meno, le violenze psicologiche subite all’interno dell’intimità della casa trasformatasi in una prigione, in cui poter torturare le donne vittime silenti, che non denunciano per la vergogna e per la paura. I mariti o i fidanzati esercitano un controllo tale da isolarle dalla famiglia e dagli amici. Portano avanti spesso la violenza psicologica facendo subire loro umiliazioni o offese in pubblico,per denigrare soprattutto la consapevolezza dell’aspetto della propria donna.
Delle vere torture che non sempre sono riconosciute come tali, in cui le donne vittime di soprusi vivono il proprio dramma di una cultura patriarcale, misogina, invadente e violenta, che non abbandona la donna, talvolta figlia di una violenza intergenerazionale, vissuta come una questione privata.
Dal profilo emerge che non si tratta solo di uomini emarginati dalla società, ma anche di insospettabili professionisti, che nella società svolgono ruoli importanti, mentre dentro le mura di casa abusano delle proprie mogli, compagne o fidanzate, consapevoli che esse non li denunceranno, perché ricattate e svilite. E dopo aver consumato la violenza, puntuale arriva la scusa: perdonami, non succederà più.
La paura e i comportamenti delittuosi di genere sono un incubo anche fuori di casa; il maniaco o lo stalker, e le sue continue insistenze, s’insidiano dopo una difficile quanto dolorosa separazione nella realtà urbana, in cui l’insicurezza di poter rientrare anche dal lavoro è fonte di disagio e della perdita di autonomia femminile.
Se si vuole procedere a un superamento delle condizioni della donna nella società, occorre reprimere i comportamenti delittuosi, identificati come “delitti passionali”, commessi in nome di un amore malato, che di per sé sono un ossimoro: quale amore potrebbe esserci, se in nome delle stesso si violenta o si uccide una donna?
Per la giurisprudenza tutto questo assume un valore che va ben oltre il codice penale; alle vittime di violenze e alla memoria delle donne uccise occorre restituire una dignità, invece sembra si voglia attribuire a questi reati un valore discriminante, per poter espiare la colpa come se non fosse un crimine efferato. Una società che tende a giustificare un carnefice, è una società che dimentica i diritti civili delle donne. Una società che tende a tenere sottaciuta una violenza sia nella sfera pubblica che privata, evidentemente genera un conflitto con la morale e con il senso della giustizia che lede la libertà e la dignità delle vittime.
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