Si era già detto, subito dopo la morte del padre, dittatore dimezzato dall’esercito e fatto fuori da un infarto, che era troppo giovane (con solo 28 anni), per governare. Ed ora, pochi giorni dopo il decesso del genitore, si apprende che Kim Jong-un, terzogenito e prediletto del padre Kim Jong-il, governerà sorretto dallo zio, oltre, naturalmente, che dall’esercito.
Domenica scorsa, commentando la morte di Kim Jong Il, il New York Times ha puntato sulla totale assenza di chiarezza riguardo alle reali intenzioni delle forze armate di Pyongyang e alla loro volontà di seguire le indicazioni date a “tutti i membri del partito, i militari e la società civile” di “seguire fedelmente l’autorità del compagno Kim Jong-Un e proteggere e rafforzare il fronte unico del partito, dell’esercito e del pubblico”. Naturalmente sul clima che regna in Corea del Nord, a parte la notizia della reggenza a tre data da fonti dei “servizi segreti cinesi”, non trapela nulla di preciso. Non esistono media indipendenti nel Paese e tutta l’informazione è controllata dalla giunta militare al potere, ma Internet ha una particolarità: avendo attivato un dominio di primo livello “.kp” solo nell’ottobre 2010, i server sui quali si basa la Nord Corea sono per lo più in Cina, Giappone, Germania e perfino Texas, comprese le pagine www.korea-dpr.com (pagina Web della Corea del Nord) e www.kcna.co.jp (la home page della Korean Central News Agency).
La morte di Kim Jong-il è stata la replica perfetta della liturgia messa in scena per suo padre nel 1994 ed è entrata negli occhi del mondo attraverso le immagini della folla di Pyongyang, in lacrime e in ginocchio per il distacco dal suo dio-eroe. Come ha scritto Giampiero Visetti, inviato di Repubblica, nella Corea del Nord i dodici giorni di lutto nazionale si sono tradotti non solo in scuole, uffici e negozi sbarrati, ma anche coprifuoco giorno e notte, popolazione scomparsa e strade riservate ai movimenti di 1,2 milioni di soldati. Un rituale del terrore, contrabbandato per condivisione del dolore, che tradisce una lunga preparazione e che smentisce la narrazione di un decesso improvviso a bordo di un treno blindato lanciato in fondo al buio di un “cuore di tenebra”, stroncato a soli 69 anni, da una vita di eccessi. I funerali si terranno il 28 dicembre e Pechino, come Seul, non invierà delegazioni, anche se la mano tesa è stata prontamente stretta dal giovane Kim Jong-un, in cerca di riconoscimenti. E sembra che, scrivono i commentatori, Cina e USA hanno già concordato che dopo “Il Caro Leader” e con il suo “Grande Successore”, in quella parte del mondo tutto deve restare com’è. Il ministro degli esteri cinesi Yang Jiechi ha avuto, subito dopo la morte di Kin Jong-il, un colloquio telefonico con il suo omologo sudcoreano Kim Sung-hwan e con la segretaria di Stato americana Hillary Clinton e i tre hanno concordato sull’importanza di mantenere la pace e stabilità nella penisola coreana e di mantenere stretti contatti e coordinarsi con la Cina. E adesso, mentre Cuba ha decretato il lutto ufficiale di tre giorni per la morte di Kim, il resto del mondo civile piange per la sorte di un popolo sempre più affamato, terrorizzato e schiacciato, un Paese sprofondato nella miseria e con una capitale-vetrina da offrire alla stampa, con l’aspetto ordinato e inquietante di una città futurista, con larghi viali alberati, piazze e giardini scrupolosamente curati, geometrici blocchi d’appartamenti in cemento e monumentali archi di trionfo. Kim Jong-il aveva avviato qualche timida riforma: abolizione di alcuni sussidi alle imprese statali, incentivi alla produzione, liberalizzazione controllata dei prezzi, possibilità per i contadini di vendere il surplus nei mercatini informali. I consumi, il tenore di vita, le importazioni e gli scambi commerciali sono lentamente cresciuti negli ultimi anni. Ma non è affatto scontato che il figlio-succesore già sotto tutela, sia in grado di allargare la breccia nella cortina di bambù, nel monolitico sistema dinastico-militare che da oltre mezzo secolo opprime il popolo nordcoreano.
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