Sarà anche “patetico”, “antidemocratico” e “di parte”, come lo hanno definito in Israele, ma quello tenuto oggi da John Kerry è stato forse il suo discorso sul Medio Oriente più duro e privo di quel linguaggio diplomatico a cui le persone come lui sono abituate. Perché con il suo mandato ormai agli sgoccioli e con all’attivo negoziati di pace avviati alla fine di luglio 2013 per la prima volta dal 2010 ma falliti dopo meno di nove mesi, il segretario di Stato ha lanciato avvertimenti e ha fatto nomi per difendere la linea dell’amministrazione Obama ma soprattutto per dire che mai come ora una soluzione dei due Stati è “in pericolo”.
Kerry non ha risparmiato nessuno: dai coloni israeliani che “dettano l’agenda del futuro di Israele”, quella di un solo Stato, alla leadership palestinese che incita la violenza nei confronti di civili israeliani fino ad Hamas, l’organizzazione considerata da Washington come terroristica e che secondo il capo della diplomazia Usa “si rifiuta di riconoscere lo Stato di Israele ed è disposta a mettere in pericolo i palestinesi nella striscia di Gaza per portare avanti la sua agenda”.
Kerry si è rivolto indirettamente anche a Trump, che qualche ora prima aveva chiesto a Israele di “restare forte fino al 20 gennaio prossimo”, quando il presidente Usa sarà lui.
Kerry non ha dubbi: “La soluzione dei due Stati è l’unico modo per garantire pace nel Medio Oriente, la sicurezza dello Stato di Israele, un futuro di dignità per il popolo palestinese e per avanzare gli interessi degli Usa nella Regione”. E’ proprio per questo che “in buona coscienza” gli Stati Uniti venerdì 23 dicembre hanno rotto con il passato astenendosi al Consiglio di sicurezza Onu e permettendo così l’adozione di una risoluzione che chiede lo stop immediato agli insediamenti israeliani nei territori occupati della Palestina in Cisgiordania e a Gerusalemme Est e che allo stesso tempo condanna la violenza palestinese.
“Dobbiamo agire oggi per preservare la possibilità di una pace duratura che ambo le parti si meritano”, ha detto Kerry.
Il segretario di Stato sa benissimo che Donald Trump farà di testa sua quando metterà piede nella Casa Bianca: lo ha già promesso in una serie di tweet dicendo che con lui le cose “cambieranno”, anche all’Onu. Ma nel frattempo per il segretario di Stato “non si può fare o dire nulla quando viene meno la speranza” per un accordo di pace tra Israele e Palestina. E in risposta sia al presidente eletto sia al premier israeliano Benjamin Netanyahu (che aveva detto che “gli amici non trascinano gli amici al Consiglio di sicurezza”), Kerry ha tuonato: “Gli amici devono dirsi la verità dura e l’amicizia richiede rispetto reciproco”. Come a dire, Israele sta sbagliando ed è un bene che gli Usa glielo facciano sapere (ma non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire).
“Purtroppo, qualcuno sembra credere che l’amicizia Usa stia a significare che gli Usa debbano accettare qualsiasi politica a prescindere dai suoi interessi”, ha continuato Kerry precisando che “il mio lavoro prima di tutto sta nel difendere gli Stati Uniti d’America, nel difendere i nostri valori e interessi nel mondo. Abbandoneremmo le nostre responsabilità se non dicessimo niente sapendo che, così facendo, permetteremmo dinamiche pericolose che garantiscono conflitti e instabilità maggiori in una Regione dove abbiamo interessi vitali”.
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