Avrebbe oggi, 8 febbraio, 82 anni; spegnerebbe 82 candeline insieme a figli e nipoti e forse a due o tre mogli, come tanti suoi colleghi di Hollywood. Potrebbe essere ancora tra noi il vecchio James, mito del cinema e del costume non solo americano, ma di tutto il mondo occidentale; l’attore che con soli tre film entrò nella storia di Hollywood e nelle camere di molti adolescenti, compresa la mia. Ricordo che all’età di sedici anni,nel 1977, quando iniziai a conoscere il cinema e la musica d’oltreoceano, mi recai alla vecchia redazione della Gazzetta di Parma e timidamente chiesi ad un gentile signore, che mi ricevette, di consultare l’archivio del 1955. Egli, dopo pochi minuti, mi portò un grosso fascicolo leggermente ingiallito, ma perfettamente conservato; io lo ringraziai e con impazienza sfogliai quell’enorme album, fino al 2 ottobre di quell’anno. Mi trovai dinanzi la copia originale che annunciava: “L’attore James Dean deceduto in un incidente d’auto”; per me fu una vera emozione e cercai di immedesimarmi e di identificarmi in quell’epoca che tanto amai e che ancora oggi amo: l’America degli anni cinquanta. Quasi balbettando chiesi se potevo comprare quella copia, e quando mi risposero di si, il mio cuore sobbalzò per un’icontenibile gioia; oggi quell’articolo ancor più ingiallito è incorniciato e appeso al muro del mio ufficio, a trentacinque anni da quel giorno, lo stesso lasso di tempo trascorso dalla morte di Elvis Presley. Si, Jimmy Dean rappresentò molto per milioni di ragazzi nel mondo, prima di lui gli attori erano per la maggior parte figurini in giacca e cravatta, composti ed educati, con quegli atteggiamenti di galanteria tipici del primo dopoguerra. Jimmy Dean rivoluzionò la mentalità di quella generazione di giovani, così come Elvis rivoluzionò il mondo della musica. L’impronta che essi diedero con il loro carisma tutto americano, influenzò gli ideali dei ragazzi a tal punto da rimanere indelebile per decenni; tuttora si ammirano le vecchie porsche e le vecchie motociclette, le foto in bianco e nero che cominciarono proprio con Dean ad avere un tocco di disinvoltura, i soggetti non erano più in posa come manichini, ma spontanei e sciolti, immortalati da scatti improvvisi di fotografi che divennero veri artisti; la fotografia divenne presto un’arte vera.
Si è parlato molto in questo ultimo mezzo secolo anche dell’arte di James Byron Dean, nato a Marion nell’Indiana l’8 febbraio del 1931, personaggio dal grande talento, introverso e irrequieto, che si serviva del suo broncio come di un manto per proteggersi dall’insicurezza, timido ma geniale, infelice per la prematura morte della madre, espressivo e tormentato, innamorato della velocità e delle corse in auto. L’apprensivo Jimmy, dopo essere stato affidato ad una coppia di zii a Fairmount, frequentò quel mitico Actor’s Studio che fu fucina dei più grandi attori del secolo scorso, e riuscì in qualche modo a farsi notare quanto basta per partecipare, naturalmente in ruoli secondari, a molti spettacoli televisivi, non aveva nemmeno vent’anni. Incontrò il suo destino quando il grande regista Elia Kazan lo ingaggiò per la parte di Cal nello storico “La valle dell’Eden”, scartando celebri candidati come Marlon Brando e Montgomery Clift, poi, sull’onda del successo arrivò “Gioventù bruciata”, (titolo originale: “Rebel without a cause” – “Ribelle senza causa”) dove nella sua parte di ribelle ottenne la celebrità impersonando in pratica se stesso. Nessuno meglio di lui poteva esprimere quell’irruenta carica espressiva, Dean cambiò le regole imponendo alla regia un atteggiamento libero, disinvolto e indisciplinato, in una parola l’improvvisazione, che, se geniale come la sua, non è altro che la virtù innata dei veri divi di Hollywood.
La terza pellicola importante lo vide a fianco di Liz Taylor e Rock Hudson nel Gigante (“Giant”) diretto da George Stevens, film che non terminò, perché durante le riprese James volle recarsi ad una gara automobilistica con il suo meccanico e sulla strada statale 466 per Salinas in California, rimase ucciso al tramonto in un tremendo schianto a bordo della sua Porsche Spider 550, era il 30 settembre 1955, pochi minuti prima era stato multato per eccesso di velocità. Quella macchina era il suo sogno e l’aveva acquistata pochi giorni prima; da quel giorno entrò nell’Olimpo dei miti. James Dean divenne anche un caso da studiare dal punto di vista della psicanalisi, la sua angoscia era autentica, i suoi comportamenti erano un insieme disordinato di pessimismo, ambizione, tormento, fascino, ansia, fragilità, ribellione; ribellione verso il mondo degli adulti, ribellione verso un galateo troppo spesso ipocrita e di facciata, ribellione verso la compostezza così noiosa e innaturale, conflitto forse immotivato con la generazione precedente, quella della seconda guerra mondiale, conflitto con quei genitori che non tolleravano le sigarette “precoci”, la velocità, i blue jeans e il rock and roll. Fosse arrivato ai cinquant’anni, probabilmente avrebbe avuto uno stile anticonformista parallelo a quello del suo coetaneo Steve MQueen (1930-1980) in quanto a istintiva spregiudicatezza. Forse non riusciremmo ad immaginarlo da vecchio, oggi avrebbe 82 anni e probabilmente lo avremmo visto insieme a Clint Eastwood alla notte degli Oscar, con il suo ghigno spassionato che io immagino simile a quello di Jack Nicolson. Si, se proprio vogliamo immaginare il vecchio James come sarebbe oggi, possiamo guardare Jack Nicolson, un’altra carriera da manuale. La rivista “Empire Magazine”, inserì James Dean nelle cento stelle del cinema di ogni tempo, niente male per un ragazzino di 24 anni che partecipò sul serio a due film e mezzo. Qualcuno disse che James recitò come visse e visse come recitò, ed è per questo che fiumi d’inchiostro sono stati dedicati all’uomo e all’artista insieme, quasi congiungendo i due ruoli, il suo mestiere e la sua vita, per un semplice fatto, perché il suo mestiere era la sua vita. Io dico spesso che la sofferenza crea l’arte quando a soffrire è l’artista, e il caso James Dean ne è un’ennesima conferma; egli soffrì una profonda solitudine nella ricerca della propria identità, a differenza di tutti quegli anonimi individui, i quali accettano passivamente il loro mediocre destino senza nemmeno porsi un minimo di ambizione. Non so se è corretto sostenere che James Dean originò una svolta storica nella società degli anni cinquanta, ma non vi è dubbio che fu uno dei principali protagonisti di quella svolta. Egli incarnò perfettamente il disagio giovanile di una generazione che non vedeva solidi punti di riferimento in quella dei loro genitori, che per la prima volta smascherava le ipocrisie, le debolezze e gli errori dei genitori. La profonda estraneità con il mondo degli adulti rendeva ancora più incerto e insicuro il loro inserimento e James fu la figura più rappresentativa, dopo un primo affacciarsi di Marlon Brando. Nel mondo intero si cavalcò quella ribellione e svolte storiche si susseguirono a breve con la musica rock, con l’abbigliamento casual e più tardi con il movimento hippy, con Elvis, i Beatles e Bob Dylan, Jim Morrison e Jimy Hendrix. Fu un autentico rinnovamento culturale coraggioso, che oggi mi sento di giudicare come un fenomeno salutare e ingenuo nella sua innocenza, (se escludiamo qualche droga) anche romantico, così dissimile dallo stupido anticonformismo dei punk anni settanta. Ciò a cui abbiamo purtroppo assistito nella nostra società nei decenni successivi, diciamo dal 70 ad oggi, non ha niente a che vedere con l’estrosa originalità di quei ragazzi in “Gioventù Bruciata”, almeno loro avevano degli ideali seppur confusi, avevano una gran voglia di libertà, oggi di libertà ce n’è anche troppa, e anche di benessere, a cosa devono ribellarsi i giovani? Oggi i giovani vogliono tanti soldi subito, a quei tempi non era una questione di denaro, e questo la dice tutta sul giudizio o sul paragone che ne possiamo trarre.
Oggi si dovrebbe invece fare un passo indietro, ritrovare l’etica nel lavoro che non esiste più, la moralità, la dignità, il rispetto per i genitori e per i superiori, per gli anziani; oggi ci vorrebbe un James Dean che influenzasse le masse con veri valori, con la rettitudine e perché no con principi sociali e politici. In pochi sanno che James Dean, dopo la sua morte, vinse un Golden Globe nel 1956, ebbe una nomination all’Oscar come miglior attore per La Valle dell’Eden nel 1957 e una alla British Academy Award.
Sono trascorsi 58 anni dal tuo addio caro James, 58 anni sono un mucchio di tempo, quel tipo non ti vide arrivare, il tuo amato bolide color argento si confondeva con l’asfalto al calar del sole e lo schianto fu inevitabile, doveva vederti, doveva stare più attento e tu ora saresti ancora qui, su questo pazzo mondo, lo so non ti saresti ancora ambientato, ma avresti vinto qualche Oscar, magari avresti una moglie, dei marmocchi, un po’ di pancia e vivresti a Bel Air nella tua California. Invece il tuo destino era già stato disegnato: una fugace e luminosa apparizione sulla terra per divenire una stella che splende nel cielo.
Ricordo di aver letto da adolescente una tua dichiarazione, che trascrissi su un diario di scuola: “Ho una dannata fretta di realizzare me stesso, i miei sogni; vorrei imparare tutto quello che c’è da imparare, sperimentare tutto quello che c’è da sperimentare, ma chi vive troppo intensamente, finisce per incontrare la morte altrettanto presto”.
Fu un tragico e macabro presentimento James, ma per tutti coloro che ti amano, quel maledetto trenta settembre deve ancora arrivare. Non temere più la morte Jimmy, goditi la tua Porsche e la tua gloria che non avrà mai fine. Buon compleanno ragazzo.
Discussione su questo articolo