Il sindaco Giuseppe Maschio ha un problema che non sa risolvere. Da anni, ai 1.800 abitanti del suo piccolo comune di Borzonasca, in provincia di Genova, se ne aggiungono altri che, però, sono solo momentanei.
«Arrivano dal Brasile, risiedono qui una ventina di giorni, fanno tutte le pratiche e, quando ottengono la cittadinanza, nessuno li vede più».
Si chiama ius sanguinis, diritto di sangue in latino, e in base alla legge riconosce come cittadino italiano chi, anche se non è mai stato in Italia né parla italiano, può dimostrare di avere avuto un antenato italiano anche lontano.
La cosa sta sfuggendo di mano.
L’Italia – scrive Il Secolo XIX (ed. Savona) – è un paese con requisiti severi per ottenere la cittadinanza, ma fa un’eccezione per gli oriundi, quelli che hanno avuto negli ultimi 150 anni un avo italiano.
La cittadinanza iure sanguinis può essere chiesta al consolato italiano all’estero, che però ha tempi di attesa di 10-12 anni; oppure, via più veloce, affidando tutto a un avvocato.
Per legge, è residente di un comune chi, in quel comune, ha la propria dimora abituale. Giusto il tempo di ottenere la cittadinanza e, con lei, il passaporto, che è uno dei più forti al mondo: consente di spostarsi senza limiti nell’Unione europea e, con il programma Visa Waiver, consente di evitare il visto negli Stati Uniti per fini turistici fino a 90 giorni.
Lo ius sanguinis – spiega Il Secolo XIX – finisce anche per spostare gli equilibri politici. Gli italiani all’estero hanno la facoltà di eleggere, per corrispondenza, 8 deputati e 4 senatori.
Secondo una recente indagine dell’Istat, l’ondata degli italiani per discendenza è destinata a crescere, e possibilmente a far crescere il numero dei parlamentari eletti nella circoscrizione estero.