La sostituzione di dieci deputati su dieci in Commissione Affari costituzionali alla Camera per "agevolare" i lavori sulla riforma elettorale scatena, come prevedibile, forti reazioni all’interno del Partito democratico. Ma anche negli altri gruppi, con le opposizioni che annunciano di voler uscire dall’aula della commissione in segno di protesta contro quello che viene percepito come un vero e proprio ‘colpo di mano’ da parte di Matteo Renzi. Il quale "tratta la Commissione come una sezione Pd – twitta Arturo Scotto, di Sel – Sostituzione atto grave. Sel non partecipa a farse. Lasciamo lavori e ci vediamo in aula". Lo stesso farà la Lega, come dice Matteo Salvini in persona, perché "Renzi se la canta e se la suona, vuole farsi le leggi a suo uso e consumo. E poi le emergenze sono altre". Sull’Aventino salirà anche Forza Italia.
Renzi, che domani tra l’altro sarà in Parlamento per le comunicazioni sul Consiglio d’Europa di giovedì, affida a un lungo post su Facebook il proprio pensiero: "Da anni diciamo che è una priorità cambiare la legge elettorale. Il Pd ne ha discusso durante le primarie, in assemblea nazionale, in direzione, ai gruppi parlamentari, ovunque. La proposta – che è stata sempre votata a stragrande maggioranza – è stata approvata anche dal resto della maggioranza e dai senatori di Forza Italia. Fermarsi oggi significherebbe consegnare l’intera classe politica alla palude e dire che anche noi siamo uguali a tutti quelli che in questi anni si sono fermati prima del traguardo. Ma no, noi non siamo così".
E allora secondo il premier "è tempo di decidere, dunque. Perché ci hanno insegnato che quando si vota all’interno di una comunità si rispettano le decisioni prese assieme. Chi grida oggi allo scandalo perché alcuni deputati sono sostituiti in Commissione dovrebbe ricordare che questo è non solo normale ma addirittura necessario se crediamo ai valori democratici del rispetto della maggioranza: si chiama democrazia quella in cui si approvano le leggi volute dalla maggioranza, non quella in cui vincono i blocchi imposto dalle minoranze". Intanto, a proposito di elezioni, oggi al Senato il premier ha incassato il primo ok al dl sull’election day per regionali e amministrative, che si terrà il 31 maggio. Anche qui però non senza incassare qualche critica: per la data scelta, che secondo Lucio Malan "non incentiva ad andare a votare", ma soprattutto per il ricorso a un decreto legge, visto dalla minoranza come l’ennesimo ‘scavalcamento’ del Parlamento.
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