La Corte Costituzionale si prende ancora qualche ora sull’Italicum. Dopo una mattinata di udienza per le arringhe dei legali che hanno impugnato la legge e un’ora nel pomeriggio per l’avvocatura dello Stato, che ha chiesto invece di confermare la legittimita’ dell’Italicum, la Corte ha fatto sapere che si aggiornera’ domani fornendo una deadline: alle 13-13.30 ci sara’ la decisione. A comunicarlo, tramite il segretario generale Carlo Visconti, e’ stato il presidente della Consulta, Paolo Grossi, al quale non sarebbe dispiaciuto chiudere oggi. Ma l’udienza e’ stata pesante, segnata tra l’altro dai suoi numerosi, irritati richiami agli avvocati anti-Italicum a contenere i tempi, a stringere gli interventi e a restare sul piano giuridico evitando “concioni politiche”.
Il breve rinvio e’ segno che ci sono punti da limare su cui non si e’ raggiunta una convergenza totale, non tanto nei contenuti, quanto nell’articolazione del dispositivo con il nocciolo della decisione: il terreno e’ delicato e bisogna rendere evidente che non si produrra’ vuoto normativo in materia elettorale. Allo stesso tempo, il fatto che sia stato indicato un’orario e’ segno che i contenuti del verdetto ormai ci sono, anche se di fatto potrebbero arrivare un po’ piu’ tardi di quanto detto, nel pomeriggio.
L’intenzione della Corte di entrare nel merito sembra pero’ solida: “L’azione e’ stata promossa da cittadini-elettori per accertare se ci sia, sul piano costituzionale, una lesione del diritto di voto”, ha detto il giudice relatore, Nicolo’ Zanon. Se si passasse per una inammissibilita’, questo accertamento non ci sarebbe. Lo stesso se la Corte accettasse, come chiesto dai legali anti-Italicum, Felice Besostri e Vincenzo Palumbo in testa, di sollevare di fronte a se’ dubbio di legittimita’ sull’utilizzo della fiducia per l’approvazione delle legge: questa strada, e’ pressoche’ certo, non sara’ percorsa, secondo quanto riferiscono osservatori molto vicini alla Corte.
L’aspetto piu’ esposto dell’Italicum resta il ballottaggio. L’avvocato generale dello Stato, Massimo Massella Ducci Teri, nella sua difesa della legge, ha dichiarato che “la Costituzione non lo vieta” ed e’ uno strumento adottato in altri Paesi e anche da noi per i sindaci. Ma in realta’ resta un meccanismo tarato su sistemi presidenziali e semi-presidenziali che scelgono direttamente il capo del governo, mentre in quelli parlamentari puri non si giustifica ed e’ disallineato. Proprio questa potrebbe essere l’argomentazione che condurra’ la Corte per dichiararlo incostituzionale in rapporto all’Italicum. Non dovrebbe invece essere toccato il premio di maggioranza, che i ricorrenti chiedono di eliminare. La sentenza con cui nel 2014 la Consulta boccio’ il Porcellum, lo elimino’ perche’ non era agganciato a una soglia di voti: nell’Italicum la soglia c’e’ ed e’ del 40%. Del resto uno dei legali-ricorrenti afferma che un mantenimento del premio lo lascerebbe del tutto insoddisfatto, ma poi si lascia sfuggire che dalla Corte “spera il meglio, ma teme il peggio”.
La Consulta dovra’ anche approfondire e motivare un intervento, non scontato, sui capilista bloccati e uno, piu’ probabile, sulle multicandidature, che dovrebbero cadere: troppi 10 collegi in cui presentarsi; se il Parlamento vorra’ reintrodurle, dovra’ abbassare il numero. Quanto all’opzione sul collegio in cui essere eletti, il meccanismo non convince, ma eliminarlo potrebbe lasciare un vuoto da colmare che invece non deve prodursi.
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