"Seguiamo il caso minuto per minuto da stamattina (ieri per chi legge; ndr). L’unita’ di Crisi della Farnesina e’ in contatto con la famiglia. Al momento non ci sono indicazioni ed e’ troppo presto per attribuire una matrice precisa ai sequestratori": cosi’ il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, sul rapimento dei due italiani in Libia. Il capo della diplomazia ne ha parlato con Repubblica, in un’intervista rilasciata lunedi’, a margine dei lavori dell’Assemblea Generale dell’Onu.
Quello che doveva essere un ‘rapimento lampo’ con immediato pagamento di un riscatto e rilascio degli ostaggi, non si e’ chiuso subito. E’ quindi iniziata una fase delicatissima che puo’ diventare pericolosa man mano che passa il tempo. E’ una delle ipotesi all’esame di chi sta seguendo il caso dei due lavoratori italiani rapiti ieri a Ghat in Libia insieme ad un canadese. La zona del sequestro e’ conosciuta dall’intelligence. Si tratta di un’area nella quale imperversano tribu’ tuareg e trafficanti di ogni tipo. Non mancano infiltrazioni jihadiste. Ma proprio quella del gruppo criminale ‘comune’ sembra per ora la pista privilegiata per risalire agli autori del sequestro. Come l’esperienza del precedente rapimento dei quattro operai della Bonatti in Libia insegna, tuttavia, il fatto non costituisce alcuna garanzia di una rapida risoluzione del caso.
LA TESTIMONIANZA – "Li hanno fermati in mezzo alla strada, nel deserto. Probabilmente hanno visto un’auto ferma e hanno rallentato pensando fosse in panne…". A raccontarlo e’ Pier Luca Racca, che per dieci anni ha lavorato in Libia, anche al cantiere dell’aeroporto di Ghat, e che conosce i due italiani rapiti con i quali ha anche lavorato. "Ho parlato con un nostro referente libico, e’ stato lui a raccontarmi queste cose", spiega l’uomo, che nel 2014 e’ tornato a vivere a Mondovi’, dove ora gestisce una edicola. "In Libia non era piu’ come una volta – spiega – cosi’ dopo dieci anni abbiamo deciso di tornare a casa. Ho provato a chiamare alcuni colleghi che sono ancora la’, ma il telefono neppure squilla…".
“IN MANO A DEI FUORILEGGE” – Sono Danilo Calonego e Bruno Cacace i due lavoratori italiani rapiti ieri nel sud della Libia. Sarebbero in mano ad "un piccolo gruppo fuorilegge che non ha alcun legame con organizzazione di al Qaeda". A sostenerlo in un comunicato diffuso sulla propria pagine Facebook, è il consiglio comunale della città di Ghat dove è avvenuto il sequestro. Nel frattempo il sindaco della stessa città, Qawmani Mohammed Saleh, ha affermato di essere "in costante contratto con il governo italiano", accusando però le autorità libiche di non offrire nessuna collaborazioni nelle ricerche.
Nel comunicato, diffuso dall’ufficio media del consiglio comunale di Ghat, si afferma che "il sindaco Qawmani ha convocato tutti gli apparati di sicurezza e militari per affrontare il pericoloso sviluppo escludendo che l’incidente sia legato all’organizzazione di al Qaeda". Nel comunicato si afferma che "il rapimento degli ingegneri della società Con.i.Cos e del canadese" indicato solo con il nome Frank "è opera di un piccolo gruppo fuorilegge e sforzi sono in corso per riportare salvi" le tre persone sequestrate.
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