Vorrei svolgere alcune riflessioni nel tentativo – spero utile – di chiarire le ragioni che ci hanno indotto alla presentazione della mozione sul voto referendario che è all’esame della Camera dei Deputati (mozione Garavini ed altri n. 1-00655).
Credo sia necessario partire da una base di discussione condivisa per fare chiarezza sull’esercizio in loco del diritto di voto e sulle questioni della rappresentanza. In assenza della necessaria chiarezza il rischio è di limitare la discussione ai numeri della rappresentanza – 5 solo alla Camera, 6 alla Camera e 4 al Senato e via dicendo – legandosi esclusivamente al dibattito sulla riduzione dei parlamentari ed evitando di fare una vera discussione sull’impianto complessivo della rappresentanza e sulle regole per eleggerla.
Siamo partiti dall’esigenza che eventuali modifiche alla legge 459 del 2001, che regola l’esercizio in loco del diritto di voto, tengano conto sia della partecipazione alle consultazioni referendarie che di quella alle elezioni politiche. Partecipazione politica che dà luogo, come ormai è noto, all’elezione di 12 deputati e 6 senatori. La condizione perché questo avvenga è stata individuata, dopo un lungo confronto politico, nella Circoscrizione Estero, inserita nell’art. 48 della Costituzione.
Il Governo non esprime valutazioni sul tema, anche se è noto che il Ministro Calderoli ne ha proposto, nell’ordine, l’abrogazione pre-estiva, poi l’abrogazione post-estiva, in entrambi i casi con annunci ma senza presentare un testo, ed ora il ridimensionamento – solo alla Camera – e riduzione, 5 deputati, e lo stesso Governo sembra averne condiviso l’orientamento approvandone in luglio lo schema di riforma costituzionale, senza eletti all’estero, ed oggi il ridimensionamento e la riduzione. Abolendo la Circoscrizione Estero, infatti, verrebbe a mancare il principale presupposto che giustifica il voto in loco. Un semplice calcolo matematico, pensando di poter giustificare la riduzione degli eletti all’estero, sarebbe anche più offensivo. Non abbiamo oggi una maggioranza in grado di svolgere un ragionamento razionale, politico, coerente. Sarebbe stato utile, dunque, anzi doveroso, se il Governo, in qualche passaggio, avesse lasciato intendere quale autentico pensiero si celi dietro il velo di alcune risposte burocratiche targate Esteri e Interno. Quale valutazione politica si intenda dare al tema della rappresentanza. Se, in altre parole, si naviga in direzione di alcuni miglioramenti volti a perfezionare e mettere in sicurezza l’attuale sistema o se invece dobbiamo ripensare tutto l’impianto della rappresentanza. Il silenzio del Governo su questo tema non potrebbe essere più assordante. Anche in questo tratto di mare, dunque, si naviga a vista. Un bollettino ai naviganti, tuttavia, arriva dalla Commissione Affari costituzionali del Senato, dove un testo unificato riguardante la riduzione del numero dei parlamentari parte proprio dall’esigenza di mantenere la rappresentanza eletta dall’estero, pur prevedendo una parallela riduzione del numero dei parlamentari assegnati alla Circoscrizione estero. Un bollettino ai naviganti costruito su elementi di una certa razionalità, che non risente quindi della confusione e delle divisioni dominanti nella compagine di Governo e nella maggioranza.
Aspettando che il Governo, se vorrà farlo e sarà in grado di farlo, dica parole chiare sulla Circoscrizione Estero e sull’architettura generale della rappresentanza per gli italiani all’estero, vorrei provare a fare qualche considerazione sul tema in discussione, relativo allo strumento referendario per quanto attiene al tema dei cittadini italiani residenti all’estero. Ogni cittadino italiano che riesce ad esprimere il suo voto in occasione dei referendum rende più facile il raggiungimento del quorum. I cittadini italiani residenti all’estero, infatti, sono automaticamente conteggiati nel quorum, indipendentemente dal fatto che siano in grado di esercitare concretamente il loro diritto.
Questa condizione rischia di pesare, in senso negativo, in ogni consultazione referendaria. Rischia, cioè, di assegnare ai residenti all’estero una responsabilità politica su un possibile mancato raggiungimento del quorum che non vogliono e, diciamolo pure, che non dovrebbero avere.
A monte, pesa come un macigno la situazione di persistente precarietà degli elenchi degli elettori definiti sui dati dell’AIRE, che, come qui è stato ricordato, presentano ancora una divaricazione di diverse centinaia di migliaia di iscritti rispetto ai più attendibili elenchi consolari.
Al di là del miglioramento delle operazioni di allineamento, di cui il MAE e il MIN si compiacciono, resta il fatto che la diminuzione delle risorse a disposizione dei Comuni non può non avere ripercussioni anche sull’azione di inserimento in AIRE e di aggiornamento delle anagrafi.
Per queste ragioni, rischiare di non arrivare a tutti gli iscritti AIRE-elettori, in occasione di un referendum, ci espone al quel rischio politico che gli italiani all’estero non desiderano assumersi.
Il voto per corrispondenza – con i difetti da tutti ricordati, che possono essere affrontati in sede di modifica alla legge 459 del 2001 – garantisce una maggiore affluenza alle urne rispetto al voto nei Consolati, che sembra essere preferito dai funzionari del ministero dell’Interno. Chiediamo al Governo di riflettere seriamente su questi elementi anche alla luce delle chiusure già realizzate e di altre preannunciate di molte sedi consolari.
È vero che un passaggio di iscrizione in elenco elettori, a Costituzione vigente, sarebbe problematico. Sicuramente per il referendum, poiché la questione comunque irrisolta è la composizione del quorum.
Si rimane nel quorum anche se non ci si iscrive in elenco e non si ha alcuna intenzione di partecipare ad alcun tipo di elezione. Sono convinto che risulterebbe altrettanto problematico modificare la Costituzione per ripensare la partecipazione ai referendum. L’inversione dell’opzione, in occasione del voto politico, ritengo sia invece possibile. Non costituisce rinuncia alla partecipazione al voto ma unicamente espressione di una intenzione di voto, da farsi entro tempi certi, da verificare periodicamente, senza escludere il voto in Italia.
In altre parole, non si rinuncia al diritto-dovere di voto né si creano limiti costituzionali al voto.
In pratica, chi esprime l’opzione per il voto in loco riceverà il plico elettorale, altrimenti manterrà inalterato il diritto-dovere di voto rientrando però in Italia. Procedura già prevista oggi, ma a canone inverso. Si opta per votare in Italia. Il Governo non affronta un tema politico che riterrei invece nodale. I cittadini italiani iscritti all’AIRE sono elettori e tutti gli effetti e quindi partecipano alla vita politica del Paese attraverso gli strumenti normativi di cui ci siamo dotati nel rispetto del dettato costituzionale.
La Costituzione che impegna lo Stato a mettere i propri cittadini in grado di esercitare il diritto-dovere di voto e per quelli residenti all’estero a garantirne “l’effettività”.
Con la Circoscrizione Esteronasce un’idea di rappresentanza territoriale e tematica, uno strumento di collegamento con le comunità italiane nel mondo, con il vantaggio di circoscriverla nel numero e delimitarla nella composizione. Ritengo sia importante per l’Italia mantenerla questa idea di collegamento con il mondo e di metterla in sicurezza, rafforzandola negli strumenti normativi.
Il Governo propone una riformulazione della mozione che ritengo in linea con le pessime scelte fatte dal centro-destra in tema di rapporti con le comunità nel mondo.
Chiusura di sedi consolari, riduzione non solo degli stanziamenti ma della proiezione linguistica, culturale e commerciale del nostro Paese nel mondo, assenza di riforme in tutti i settori chiave dei rapporti con le comunità, autentiche discriminazioni a scapito dei residenti all’estero in materia sociale ed una preoccupante tendenza a limitare, tagliare, ridurre, anche i costi della democrazia – per ora in direzione degli italiani all’estero, ma non è escluso si guardi anche in altre direzioni.
Basti pensare ai tagli ai Comites e al Cgie, alla proposta di riforma che ne riduce compiti, influenza e anche finanziamenti.
Su un punto essenziale come l’anagrafe e la sua correttezza ci attendiamo dal Governo e dalla maggioranza un segnale forte, che non arriva con questa riformulazione che, di fatto, antepone al corretto funzionamento della democrazia la questione dei costi.
Il punto centrale, ormai non più eludibile, è il tema delle regole. Chiediamo razionalità. Anche coerenza. Qualche distinzione tra temporaneamente all’estero, e quindi voto in direzione dei collegi di appartenenza anziché per la Circoscrizione Estero, andrebbe fatta.
E perché distinguere tra chi è temporaneamente all’estero e chi è temporaneamente fuori collegio?
Prima di parlare di “soluzioni trovate” al tema complesso di chi risulta “temporaneamente assente dal proprio collegio” in occasione di elezioni politiche o consultazioni referendarie, sarebbe utile porsi tutte le domande ma soprattutto quelle giuste.
In conclusione, si faccia chiarezza sul destino della Circoscrizione Estero, si discutano le proposte di riforma e messa in sicurezza del voto per corrispondenza, si faccia un intervento risolutivo per la bonifica degli elenchi degli elettori.
In questo modo, si affronteranno concretamente le disfunzioni che si sono finora manifestate e si consoliderà in modo serio e concreto il rapporto con i quattro milioni di nostri concittadini che vivono nel mondo, di cui, soprattutto in questi momenti di crisi acutissima, abbiamo un gran bisogno.
*deputato Pd eletto all’estero
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