Con grande interesse, ho avuto modo di leggere l’articolo di Filippo Poletti pubblicato sulle pagine del Sole24Ore, dedicato alla rilevante tematica della “fuga dei talenti”. Il lavoro trae origine dalla ricerca coordinata da Serena Gianfaldoni presso il CAFRE, il Centro interdipartimentale per la Formazione e Ricerca Educativa dell’Università di Pisa, che indaga sulle profonde motivazioni che spingono gli italiani a cercare fortuna all’estero.
Le conclusioni di questa approfondita analisi rivelano come la ricerca di opportunità di carriera sia il principale motore che spinge un gran numero di connazionali a stabilirsi in altre nazioni. Questo elemento trova ulteriore riscontro nell’ultimo “Rapporto Italiani nel Mondo” redatto dalla “Fondazione Migrantes”, dove emerge chiaramente che la fuga verso l’estero è alimentata da una molteplicità di fattori, tra cui retribuzioni, prospettive di carriera, contesto di fiducia e stabilità, welfare e qualità della vita.
La diaspora degli anni ’50 e ’60, che ha privato l’Italia di una considerevole forza lavoro, ha ora assunto una prospettiva diversa. Si assiste, infatti, ad una nuova ondata di emigrazione, quella che viene definita la “fuga dei cervelli” o “brain drain”.
Questa generazione decide di partire alla ricerca di realizzazione personale, esperienza e crescita del proprio background, cercando una stabilità che l’Italia sembra non garantire più.
Purtroppo, ciò ha come conseguenza il negare ai propri figli un futuro dignitoso e proficuo nel proprio paese d’origine. Questo fenomeno merita un’attenzione particolare per comprendere appieno le cause e i fattori che stanno privando l’Italia della sua più grande risorsa, cioè i talenti, e che accentuano la distanza con il resto del mondo in termini di crescita e sviluppo. Se si volesse quantificare in numeri, il paese perde addirittura l’1% del PIL a causa della fuga dei talenti, bruciando al contempo ingenti risorse investite nella formazione e nel capitale umano.
Alessandro Crocco, presidente Comites New York