Nella votazione del 28 giugno alla Camera dei Deputati sulla proposta di legge sulle cosiddette “quote rosa” (approvato a larghissima maggioranza) volta ad assicurare con forza di legge la presenza delle donne nei consigli di amministrazione, mi sono astenuto.
Dato che alcuni colleghi mi hanno indirizzato sguardi di sorpresa, devo dire che solo per un senso di dovere di appartenenza ho optato per l’astensione, ma la mia convinzione mi spingeva addirittura verso un voto contrario.
La realtà è che il nostro Paese per motivi ben noti è la cenerentola dell’Europa quanto a parità di genere.
Facciamo tutti un sorrisetto se vediamo una donna alla guida di un autobus, fino a raccomandarci al Signore e a fare gli scongiuri se sentiamo una voce di donna annunciarsi come capitano e darci il benvenuto a bordo di un aereo.
Le nostre donne a parità di lavoro (escluso forse solo in Parlamento) guadagnano meno dei loro colleghi uomini. Noi stessi, il Partito Democratico adesso e prima ancora l’Ulivo, abbiamo speso fiumi di parole per garantire che la parità uomo-donna nelle liste elettorali venisse rispettata. E vista la “porcata” di legge elettorale che ci governa non ci sarebbe stato niente di più facile che alternare nel listone il nome di una donna al nome di un uomo. Ma non lo abbiamo fatto.
Gli esempi di vera e propria discriminazione sono infiniti e riempiono la nostra quotidianità.
Una discriminazione culturale, pesantissima. Pensare di superare questa discriminazione a forza di legge è una ipocrisia forse ancora più grande, un modo di mettersi a posto la coscienza, tanto sappiamo tutti – e sì che lo sappiamo – che una legge del genere difficilmente andrà a buon fine. Mille scuse e impedimenti saranno tirati fuori per impedirne l’effettiva esecuzione.
E’ una legge, inoltre, che mortifica ancor di più le donne dal momento che esse entreranno in un consiglio di amministrazione in forza di una quota “rosa”, perche’ donne, e non per meriti.
Ma perché? Di quante quote abbiammo ancora bisogno in questo Paese? Una quota per gli “stanieri”? Una quota per le persone di colore? E a quando una quota anche per le persone, soprattutto donne, “di età inferiore a…” oppure “di discutibile bellezza”?
Ci rendiamo conto che nel nostro Paese per essere assunti si richiede ancora l’età e la bella presenza?
Lo sa bene il nostro Presidente del Consiglio che ripete fino alla nausea che le sue donne sono belle mentre le nostre, quelle di sinistra, sono brutte.
Abbiamo bisogno di fare entrare nella nostra testa che non esistono “uomini e donne” nell’esercizio dei diritti, ma che esistono soltanto “persone”. E per fare questo dobbiamo educare, non legiferare.
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