“Italiani nel cuore”, di Giuseppe Arnone, a cura di Nunzio Panzarella e con prefazione di Vittorio Sgarbi, pubblicato da Rubbettino in questi giorni, analizza attentamente la situazione della fuga dei cervelli e dei nuovi modelli di emigrazione giovanile verso i principali Paesi europei.
Infatti, nonostante la pandemia, l’emigrazione italiana non si è arrestata. A dirlo la Fondazione Migrantes, organo della Conferenza Episcopale Italiana, che in un suo recente report ha sottolineato come, nell’anno del Covid, l’Italia abbia perso quasi 384 mila residenti sul suo territorio e ne abbia guadagnati 166 mila all’estero: un aumento di presenza all’estero del 3% nell’ultimo anno.
Maglia nera è la Sicilia, con quasi 800 mila siciliani all’estero. Un’altra Palermo fuori dall’isola dunque.
Le mete preferite da chi decide di trasferirsi all’estero sono per lo più Paesi europei. Fino a qualche anno fa, prima della Brexit, a guidare la top five era il Regno Unito. Oggi a guidare la classifica è invece la Germania, seguita da Francia e Svizzera.
L’autore, Arnone, presidente della Fondazione Italiani in Europa, ha voluto affrontare un tema poco trattato: quello dell’emigrazione di oggi, comparata a quella di un tempo. Il quadro che ne viene fuori, in un clima radicalmente diverso rispetto a quello del Dopoguerra, è che l’emigrazione italiana sia mutata in modo assoluto, tanto che oggigiorno più che di emigrati sarebbe opportuno parlare di “expat”, nel senso anglosassone della parola, intendendoli come “portatori del soft power culturale italiano” all’estero, in virtù di skill e know how elevati, (diametralmente opposti agli italiani, spesso senza formazione o qualificazione, che emigravano negli anni ’50 o ’60, incarnati dalla figura goffa e semplice di Pasquale Amitrano, l’emigrato “tipo” raccontato da Carlo Verdone nel 1981 nel suo celeberrimo “Bianco rosso e verdone”.)
Il pamphlet ha incassato anche attestati di stima da parte di personaggi della cultura come Vittorio Sgarbi, che ne ha scritto la prefazione. Per Sgarbi, come afferma nella prefazione, l’Italia sta vivendo una nuova stagione migratoria, ma le conseguenze di questo percorso sono apparse nell’ultimo quinquennio aggravando una strada che l’Italia sta pericolosamente percorrendo velocemente e a senso unico, caratterizzata da svuotamento e spopolamento, dove alle partenze non corrispondono i ritorni. Sempre per l’eminente critico d’arte, nella grande epoca della globalizzazione – che dovrebbe intendersi quale “viaggio di idee” più che siluro omologante – viaggiano, e spesso non ritornano, anche tanti ragazzi, chi per necessità lavorative, chi per specializzarsi in Paesi più interessati all’acquisizione delle competenze. L’Italia attualmente investe nella formazione primaria lasciando a un altro Paese il potere di proseguirla, perfezionarla e persino assorbirla. Nessuna agevolazione fiscale, nessun interesse per il recupero dei rapporti con i conterranei emigrati, nessun potenziamento delle strutture di comunicazione per una cittadinanza più attiva.
L’Italia continua a perdere le sue forze più giovani e vitali, capacità e competenze che vengono messe a disposizione di altre nazioni che non solo li valorizzano appena li intercettano, ma ne usufruiscono negli anni migliori, quando la creatività e la voglia di emergere sono ai livelli più alti per freschezza, genuinità e spirito di competizione, come sottolinea da tempo la Fondazione Migrantes nei suoi report – così l’ufficio stampa della Fondazione Italiani in Europa.