L’immagine più ricorrente era quella del solito italiano furbo che il salame, negli Stati Uniti, provava a portarlo dentro la valigia, nascosto tra indumenti intimi, spazzolino e dentifricio. Quanti prosciutti, salami, coppa, sono finiti nelle mani dei doganieri americani? Quante cenette si saranno fatti all’US Customs grazie al ‘naso’ dei loro ispettori, soprattutto i beagles che lavorano per l’U.S. Department of Agriculture (USDA)? Negli States se si parla di salumi italiani viene in mente il film ‘Mortadella’, che negli USA divenne ‘Lady Liberty’, dove Sofia Loren, Maddalena, operaia in un’azienda di salumi, raggiunge negli Stati Uniti il fidanzato Michele, ma resta bloccata alla dogana, perché non vuole separarsi dalla mortadella che le hanno regalato gli ex colleghi. Il film, del 1971, fino a oggi per certi versi ancora attuale, non lo sarà più da martedì prossimo, 28 maggio, da quando il divieto di importare salami dall’Italia sarà finalmente tolto e così anche l’America diventerà ‘mortadella free’ se, con quella che qui poi è chiamata ‘Bologna’, si possono identificare quegli alimenti, crudi o cotti, che generalmente vengono preparati con carne suina. Dopo quarant’anni di ‘off limits’, ecco che i nostri prelibati salumi, potranno entrare, e circolare liberamente negli Stati Uniti. La decisione, presa dall’U.S. Department of Agriculture, porterà a una piccola rivoluzione sulle tavole degli americani, anche se la direttiva non comprende tutti i prodotti italiani, ma esclusivamente quelli provenienti da Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte con l’aggiunta delle province di Trento e Bolzano che sono state definite immuni dalla ‘malattia vescicolare suina’, la Mvs, il pericolo che finora aveva bloccato le importazione.
Per l’USDA infatti i salumi, la carne di maiale, importata da queste regioni dell’Italia, presenta un basso rischio di introdurre la malattia negli States. Per la prima volta la Mvs fu trovata negli anni Sessanta ed è stata la causa del lungo divieto, quarantennale, adesso tolto, a cominciare dalla prossima settimana. Finora pochi, e selezionati prodotti, potevano varcare le frontiere degli Stati Uniti: il prosciutto di Parma e quello di San Daniele, con l’aggiunta, ma solo dal 2000, anche della mortadella. Ora tutto, o quasi, sta per cambiare e centinaia di piccoli produttori italiani, una volta avuto l’ok dalla USDA, potranno esportare salami, prosciutti e tutt’altro anche negli Stati Uniti. Per il momento però non è stato ancora spiegato quali saranno gli standard ai quali ci si dovrà attenere e nemmeno se ci saranno dei controlli sui prezzi delle prelibatezze che, il count down è già cominciato, dalla prossima settimana, in teoria, si potranno degustare anche negli USA. Quello che però è certo è che per avere l’ok all’export, si dovranno pagare salate (e il caso di dire) tasse sull’esportazione, nel processo che porta all’ok dell’autorità americane, per avere la certificazione si potrebbe arrivare fino a 100.000 dollari. "Una volta che le regole saranno approvate le importazioni saranno permesse – ha spiegato Lyndsay Cole, portavoce dell’Inspection Service – anche se alcune spedizioni potranno necessitare di ulteriori certificazioni in futuro". Insomma l’ok c’è anche se non tutto sarà semplice.
Soppressata, pancetta, capoccolo, oltre a prosciutto e mortadella, sono decine le qualità di salumi di maiale che la tradizione italiana può vantare: dal culatello ai ciccioli, dalla coppa di testa al cotechino, i guanciali e l’elenco potrebbe continuare. Ma come si è visto il ‘salumi free’ delle autorità USA si riferisce finora solo ad alcune, poche, regioni italiane. Il divieto resta ancora per la maggior parte delle zone italiane dove la produzione di salumi è particolarmente forte. A cominciare dalla Toscana. Ma questa prima, parziale apertura, dopo quarant’anni di divieti, porterà a un immediato aumento nelle cifre dell’export: infatti è già stato calcolato che l’ok della USDA, arrivato attraverso il parere dell’Animal and Plant Health Inspection Service, garantirà un aumento valutabile dai 9 ai 13 milioni di dollari. Ma negli USA però si aspettano lo stesso trattamento, o almeno simile, anche dalle autorità italiane. "Come americano accolgo questo provvedimento a braccia aperte – ha detto Pat LaFrieda, proprietario di Pat LaFrieda Meat Purveyors nel New Jersey – a patto che gli italiani importino i nostri prodotti. Ci sono restrizioni sul manzo e altri tipi di nostre carni in Italia".
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