Da oltre vent’anni vivo in Repubblica Dominicana. In questi due decenni, ho avuto modo di osservare come la nostra comunità abbia acquisito una maggiore consapevolezza delle proprie possibilità. C’è ancora molto da fare, però a mio modesto modo di vedere le cose siamo sulla giusta strada.
Paradossalmente, ciò che ha risvegliato un minimo di amor proprio e la volontà di essere al centro dell’attenzione nei confronti di una Roma che troppo spesso in passato ci ha abbandonati, sono stati i noti fatti avvenuti negli ultimi cinque anni.
Come dimenticare le prime “scosse di terremoto” del mese di giugno del 2013, quando la nostra rappresentanza diplomatica e consolare venne spodestata di una delle funzioni più delicate a livello di erogazione dei servizi, ovvero il rilascio o diniego dei visti Shengen?
La trattazione delle domande di visto per l’Italia passarono al Consolato spagnolo con una scusa a dir poco patetica, salvo poi avere conferme attraverso un’intervista rilasciata a Italiachiamaitalia.it nel 2014 da parte dell’allora sottosegretario agli esteri Mario Giro, riguardo al fatto che vi furono irregolarità nel rilascio dei visti da parte della nostra rappresentanza.
Uno scandalo agli occhi della comunità italiana, delle altre rappresentanze europee in loco e dell’opinione pubblica dominicana.
Fine 2013, la doccia fredda: il Governo annuncia l’inclusione dell’Ambasciata d’Italia a Santo Domingo tra le sedi da chiudere per ragioni di spending review. Dopodiché, un 2014 dantesco, generato dal caos pre chiusura, fece sì che l’utenza perse quel poco di dignità che gli era rimasta.
File interminabili di persone che avevano bisogno di presentare una qualsiasi pratica, con connazionali spesso costretti a dormire fuori dalla sede per ottenere un turno che potesse permettere loro l’accesso presso gli sportelli consolari.
Ma la comunità italiana in Repubblica Dominicana, spesso tacciata come un gruppetto di spensierati connazionali che passano le giornate al mare a fare la bella vita, tutto d’un tratto decise di non essere passiva attraverso una battaglia che venne portata avanti su più fronti: politico, mediatico e giudiziale.
Santo Domingo divenne il centro del mondo. Mai nessuno in passato, da Roma, ci aveva prestato chissà quale attenzione e, tutto d’un tratto, cominciammo a ricevere visite di parlamentari e viceministri.
Diventammo il simbolo del fallimento della politica per gli italiani all’estero e allo stesso tempo un esempio di tenacia e forza.
Nel 2018 ci ritroviamo ad avere nuovamente un’Ambasciata aperta. Non tutto funziona come vorremmo. Il problema più evidente e che Paolo Dussich, presidente del Com.It.Es. del quale faccio parte, ha evidenziato anche recentemente attraverso una comunicazione inviata al CGIE (Consiglio Generale degli Italiani all’Estero), è la difficoltà di riuscire a richiedere un servizio consolare, frutto di un controverso sistema di appuntamenti on line.
Sono convinto che le giuste pretese del Com.It.Es., istituzione che rappresenta la collettività, non verranno messe da parte.
A sostegno di quanto viene richiesto localmente, c’è un nuovo governo che sembra essere molto più sensibile alle questioni degli italiani all’estero rispetto ai suoi predecessori. La nomina del sottosegretario Sen. Ricardo Merlo ne è la dimostrazione politica.
Tornare ad un minimo di normalità si può. Volere è potere.
Ci sono segnali inequivocabili del fatto che non siamo più quella comunità snobbata dalle nostre istituzioni di qualche anno fa. La riapertura dell’Ambasciata e l’ammissione dello stesso Mario Giro durante un incontro con la comunità italiana della RD verso la fine del 2016 (“la comunità italiana di Santo Domingo ha alzato un polverone”), ne è una dimostrazione.
I connazionali residente in questa meravigliosa isola dei Caraibi si sono contraddistinti anche attraverso il voto alle ultime elezioni politiche del mese di marzo che, in gran maggioranza (un elettore su due), ha sostenuto il MAIE e un candidato residente in loco, Angelo Viro, uno dei protagonisti della battaglia per la riapertura della sede diplomatica e consolare, senza contare che proprio la nostra comunità ha raggiunto uno dei maggiori indici di partecipazione al voto nella sua ripartizione di riferimento (Nord e Centro America).
Voto italiani all’estero, nella Repubblica Dominicana un elettore su due è del MAIE
Non dimentichiamo poi l’unità delle diverse realtà associative nel momento in cui c’è stato da reclamare per i nostri diritti, come nel caso della manifestazione realizzata di fronte all’Ambasciata nel mese di aprile del 2017, contro i tagli alla rete consolare e per ridare un minimo di dignità ai connazionali all’estero.
Mentre scrivo queste righe, la comunità italiana di Boca Chica sta spontaneamente organizzando una riunione attraverso la quale tratterà tematiche di importanza comune. A breve verrà inaugurata una Fondazione di solidarietà tutta italiana, con la quale un gruppo di connazionali residenti in diverse parti del Paese cercheranno di assistere connazionali in difficoltà estreme.
Nei prossimi giorni, uscirà per la collana del Centro Altreitalie sulle Migrazioni Italiane, il volume “Autopsia di un diritto politico. Il voto degli italiani all’estero nelle elezioni del 2018″, con un capitolo dal titolo: “L’attivismo politico di un microcosmo elettorale: la Repubblica Dominicana”. Tanto per intenderci, siamo stati messi sullo stesso piano delle seguenti realtà italiane nel mondo alle quali sono stati dedicati altri capitoli: Francia, Germania, Regno Unito, Argentina, Brasile, Stati Uniti ed Australia.
Il CGIE, infine, ha scelto Santo Domingo come sede della prossima plenaria per l’America Latina, prevista per il mese di ottobre.
Insomma, siamo di fronte a tanti piccoli segnali che ci rendono una comunità evidentemente più matura, che ha sempre più voglia di partecipare, che è certamente più forte e organizzata rispetto a cinque anni fa.
*coordinatore nazionale del MAIE in Repubblica Dominicana