Nella storia recente degli Italiani emigrati in America, un mondo di circa 20 milioni di persone dalla seconda generazione in poi, esistono pochi punti fermi, personalità simboliche, che mettono d’accordo tutti. Sono spesso artisti affermati, grandi capitani d’industria, a volte sportivi di successo. In questo contesto c’è poi, a rappresentare con grande capacità le migliori doti dei nostri connazionali emigrati negli USA, una donna. Si chiama Matilda Raffa Cuomo, e chi scrive confessa di essersi innamorato della sua verve, della sua spontaneità, della sua carica: una forza della natura con l’entusiasmo di una bambina, pur avendo anche tanta esperienza di successo. Descriverla come moglie di Mario e madre di Andrew è corretto, perché la famiglia è per lei al primo posto: ma non rende interamente giustizia ai tanti meriti che si è saputa conquistare sul campo. Possiamo dire che se è vero che dietro ad ogni uomo di successo c’è una grande donna, qui di uomini di successo ce ne sono due, e questo giustifica l’entusiasmo che tutti provano per Matilda Cuomo. La ringraziamo per la sua disponibilità.
Signora Cuomo, lei è una vera e propria icona per la comunità Italoamericana. Avendo dedicato tutta la sua vita a fare del suo meglio per promuovere questa comunità, per prima cosa: cosa significa per lei essere Italoamericana? Qual è la storia della sua famiglia?
Ho sempre considerato con orgoglio il mio essere Italoamericana. Ogni giorno c’è più consapevolezza della bellezza e della grande cultura italiana, e ogni giorno l’America conosce meglio i risultati degli Italiani che sono venuti qui, da Filippo Mazzei, amico e ispiratore di Thomas Jefferson, a tutti gli artisti che hanno realizzato opere meravigliose negli Stati Uniti, a coloro che vennero qui senza avere nulla e costruirono una parte di America coil loro duro lavoro. Quando ero first lady ad Albany, durante il periodo in cui mio marito Mario era Governatore dello Stato di New York, fui emozionata nel sapere che nel palazzo del Governatore la grande scalinata e la scultura che trovai erano fatte in cemento italiano: ne fui talmente orgogliosa da coinvolgere i tour operator a comprenderla nelle visite turistiche ad Albany. Proprio in questi giorni c’è sulla stampa americana un articolo sul particolare cemento usato dagli antichi romani, la puteolana, che da più di 2000 anni dimostra la propria geniale composizione e oggi viene riscoperto per la sua stabilità, molto migliore dei cementi di oggi. E’ solo una delle riprove che in Italia bellezza, genio, cultura e innovazione sono sempre stati di casa: in ogni settore in cui sia possibile dimostrare talento. E ogni giorno l’America se ne accorge di più, e ogni giorno noi Italoamericani ne siamo più orgogliosi.
La mia famiglia ha origini nel sud dell’Italia. Mio padre nacque a in Pennsylvania, da Francesco e Matìa: il mio vero nome non è Matilda, ma Matìa, come mia nonna. Mio nonno rimase in Pennsylvania, lavorando nelle miniere, mentre mia nonna tornò in Sicilia e crebbe quattro figli, tre femmine e un maschio, mio padre Carmelo. Mio padre crebbe con il desiderio di vedere la patria in cui era nato, e quando riuscì a tornare in America, si innamorò del suo senso di libertà e di opportunità. I miei genitori avevano un fortissimo senso della famiglia: ed hanno trasferito anche a me il concetto per cui è la famiglia che deve per prima insegnare ed educare i bambini. Riuscirono a mandare tutti e cinque i loro figli al college, e questo rese mio padre molto orgoglioso, consapevole che l’educazione fosse la chiave per il successo e così è stato: io e mia sorella siamo insegnanti, i tre miei fratelli sono due ingegneri e un avvocato.
Lei è stata la moglie del Governatore dello Stato di New York Mario Cuomo, dal 1983 al 1995, ed è oggi la madre dell’attuale Governatore, suo figlio Andrew. Quali differenze e quali similitudini vede in queste due esperienze, dal suo punto di vista?
Effettivamente, nello Stato di New York è la prima volta che un Governatore eletto sia figlio di un suo predecessore: non so se in altri Stati sia avvenuto, ma qui a New York è la prima volta. Ciò che non è cambiato è la passione e la dedizione totale con cui Mario ha interpretato allora e Andrew interpreta oggi il ruolo di Governatore, e l’onore che sentono per la grande responsabilità che è stata loro affidata: per fare bene il Governatore di New York bisogna lavorare tantissimo, e do che sia mio marito che mio figlio ne sono stati consapevoli da quando hanno deciso di candidarsi, con l’obiettivo di aiutare realmente i cittadini del loro Stato. La differenza è forse che Mario mi chiese di aiutarlo in prima persona, e come first lady lo feci con piacere, mentre ovviamente e giustamente oggi non è così per Andrew.
Tra le molte cose che ha fatto, lei è la fondatrice del progetto Mentoring USA, creato nel 1995 dopo molti anni dedicati ad aiutare donne, famiglie e bambini in difficoltà. Ci dice qualcosa in più su questa iniziativa, che ha anche una filiale in Italia?
Durante il suo mandato da Governatore, mio marito mi disse: hai cresciuto così bene i nostri figli, perché non mi aiuti con i bambini che stanno lasciando la scuola nello Stato di New York? Entrambi condividevamo quanto fosse tragico il fatto che molti ragazzi abbandonassero gli studi: la scuola li aiutava, li educava, li teneva lontano dalla strada e dai guai. Le droghe, l’alcol, le gravidanze adolescenziali erano tutte conseguenze del precoce abbandono scolastico: così cercammo di capire cosa fare, e pensammo che la migliore cosa sarebbe stata la prevenzione, mediante l’affidamento ad ogni ragazzo di un mentore. Ci dotammo di un "bipartisan board", che potesse garantire che non ci fosse nulla di partitico in quello che facevamo; facemmo accordi con le istituzioni scolastiche e accademiche dello Stato, e nacque nel 1985 il New York State Mentoring Program, il primo nel Paese. Piaceva molto a Barbara Bush, che voleva che il programma venisse replicato dalle altre mogli dei Governatori degli altri Stati. Furono 10.000 i bambini che riuscimmo a raggiungere ed aiutare e difatti il tasso di abbandoni scolastici calò enormemente. Il programma, però, purtroppo fu cancellato dal Governatore che prese il posto di mio marito, nel 1995.
Fu allora che mio figlio Andrew, che allora era nel Governo del Presidente Clinton, mi spinse a riprendere il programma allargandolo a tutti gli Stati, chiamandolo Mentoring USA, per proseguire a fare del bene ai bambini non più dello Stato di New York, ma di tutti gli Stati Uniti. Così, grazie al suo aiuto mettemmo in piedi Mentoring USA, che oggi dirige mia figlia Maria: adesso è lei il mio boss! Oggi il programma esiste anche in Italia, in Spagna e in Marocco. In Italia è guidato da Sergio Cuomo, anche lui parte della nostra famiglia, e ha base a Salerno ma lavora in tutto il Paese: sono riusciti nel portare il programma in Italia, facendo qualcosa di molto difficile, per un progetto nato in America. Lavorano davvero molto bene. Oggi purtroppo ci sono difficoltà, perché il supporto di alcuni sta venendo meno, per colpa della crisi, ma io spero davvero che chiunque, di qualsiasi parte politica, capisca che destinare fondi per dare un migliore futuro ai bambini è l’investimento più sicuro che si possa fare.
Quando, qualche anno fa, l’insegnamento della lingua italiana fu messo fuori dall’AP (Advanced Program) per i ragazzi delle high school americane, lei ha guidato la comunità per reinserirlo, mettendo d’accordo tutti e trovando – grazie all’Italia e agli Italoamericani – i fondi necessari. Lei ha fatto qualcosa che alcuni ritenevano impossibile: riunire insieme tutta la comunità Italoamericana a supporto di un progetto, insieme, collaborando. Come ha fatto?
In realtà, erano tutti consapevoli del fatto che quella battaglia sarebbe stata necessaria. La lingua per la nostra comunità è fondamentale, fa parte della nostra storia, della nostra tradizione, della nostra cultura e non potremo mai farne a meno, anzi ne andremo sempre orgogliosi. Mio padre mi diceva sempre che non bisogna mai mollare, e io l’ho ricordato ai leader della nostra comunità: leader bravi e generosi, grazie ai quali siamo riusciti a difendere la nostra lingua. Abbiamo lavorato molto bene con l’Ambasciata e con i Consoli Generali in tutto il network diplomatico Italiano negli Stati Uniti. Lo abbiamo fatto, tutti, col cuore: perché essere Italiani è parte di noi, una parte che amiamo, che difendiamo, che portiamo con orgoglio qui in America. E’ l’Italia che è dentro ognuno di noi che ci ha unito a difesa della nostra lingua.
Gli Stati Uniti sono ancora la terra dell’American dream, e molti giovani ragazzi italiani vorrebbero venire a vivere lì. E’ un nuovo tipo di emigrazione, chiamato la fuga dei cervelli, perché stavolta sono coloro meglio educato e spesso più brillanti e promettenti, che lasciano l’Italia. Lei cosa direbbe a questi ragazzi italiani?
Quando ero first lady dello Stato di New York, ho dato vita ad un programma di borse di studio che ha promosso diversi scambi tra ragazzi americani che sono andati a visitare le meraviglie italiane, e anche ragazzi italiani venuti qui in America a studiare. E’ bello che i ragazzi conoscano le altre culture.
Gli italiani che emigrarono qui, tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, lo fecero senza alcun aiuto statale. Non li aiutò lo Stato Italiano, e non lo fece quello Americano: ma loro non cercavano aiuti pubblici. Sapevano di dover lavorare duramente, che la loro opportunità sarebbe arrivata, che dovevano garantire un futuro migliore ai loro figli e dovevano farlo con le loro forze, o con l’aiuto delle loro famiglie e dei loro amici.
Questo è quello che siamo noi italiani: allora, e anche adesso. E chi non lo crede, farebbe meglio a convincersi. I ragazzi italiani fanno bene a venire in America, ma poi dovrebbero tornare in Italia, e dare il loro contributo per il loro Paese: magari non tutti, ma molti. Come fece il mio caro amico Giuseppe Recchi, che ha passato un periodo importante della sua vita lavorativa qui in America, ma poi è tornato in Italia e oggi è il Presidente dell’ENI.
Per concludere, Sig.ra Matilda: da New York, come vede l’Italia in questa fase di profonda crisi che stiamo attraversando?
L’Italia mi ispira ottimismo. E’ un Paese pieno di talento, che si risolleverà. L’importante, e mi sento di dirlo con forza, è che si investa sul futuro dei ragazzi, sulle giovani generazioni. Aiutare i bambini – ad esempio come facciamo noi, affidando loro un mentore – dà eccellenti risultati, sia per loro che per il Paese. La grandezza della storia e della cultura dell’Italia richiede nuove generazioni educate e pronte a portare avanti il Paese nella maniera giusta e corretta, e su questo bisogna impegnarsi perché è fondamentale.
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