Mauro Bafile firma per “La voce d’Italia”, quotidiano online che dirige a Caracas, un nuovo editoriale in cui torna a parlare della drastica situazione che vive il Venezuela. “Uno stato di confusione”, questo secondo Bafile “il clima che si respira oggi in Venezuela”. Poi il giornalista spiega: “Per la loro entità, i provvedimenti economici annunciati giorni fa dal presidente della Repubblica, Nicolás Maduro, già entrati in vigore, hanno sorpreso e sono oggi fonte di grande preoccupazione. Ad alimentare confusione e nervosismo, poi, vi è la mancanza di chiarezza. Alcuni decreti non sono stati ancora pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Non si conosce, quindi, il loro vero contenuto”.
“L’incremento del salario minimo è senza dubbio il provvedimento che desta maggior preoccupazione. Il capo dello Stato ha deciso di portarlo a 1.800 bolivares, pari a 34 volte quello di appena un mese fa. È un aumento che va oltre ogni aspettativa razionale e al quale poche, pochissime aziende potranno far fronte. Tanto è così che il governo ha offerto agli imprenditori un “salvagente” che molti considerano tanto illusorio quanto effimero. Ha assicurato che, a chi ne farà espressa richiesta, lo Stato provvederà a pagare durante i primi 90 giorni il “differenziale” tra vecchio e nuovo salario. Ma l’industriale, che deve guardare più in là dell’immediato, si chiede: e poi?”.
“Non tutti i settori saranno beneficiati dal “salvagente” offerto dal Governo. Alcune categorie ne resteranno fuori. È questo il caso dei nostri Centri Italo-Venezuelani e delle nostre Case d’Italia. La loro sopravvivenza è in pericolo. Anzi, non soltanto la loro sopravvivenza ma, quel che è più importante ancora, la filosofia, lo spirito che mossero i pionieri a crearli”.
“Non ci stancheremo mai di ripeterlo. I nostri centri sociali – sottolinea Bafile – sono assai diversi dai vari club che sono nati in Venezuela negli anni. Hanno una funzione sociale che va più in là, molto più in là dal semplice fine ricreativo. Furono creati perché i nostri emigranti sentivano la necessità di riunirsi, di avere un luogo comune nel quale conservare e trasmettere le proprie tradizioni, abitudini e cultura. In un primo momento furono quasi dei ghetti. Ma col passare degli anni si trasformarono in luoghi d’integrazione, in un ponte naturale tra l’Italia e il Venezuela.
Nonostante le tante difficoltà, questa missione all’interno dei nostri sodalizi è stata gelosamente conservata e difesa. Oggi, per effetto della crisi e in seguito ai nuovi provvedimenti salariali, c’è il pericolo che resti schiacciata dalla nuova realtà del Paese. In altre parole, i nostri Centri Italo-Venezuelani, le nostre Case d’Italia rischiano di trasformarsi in “club” alla portata di una piccola élite economica e politica.
I primi a esserne espulsi saranno naturalmente i più giovani e i più anziani. Sono queste le fasce più deboli. I primi, perché il salario che percepiscono non ha ancora raggiunto livelli che permettano di conservare, pagando quote di manutenzione elevate, le azioni ereditate o trasferite loro dai genitori. Gli altri perché, in gran parte, non hanno denaro sufficiente per affrontare quella spesa, dovendo destinare gran parte delle proprie risorse economiche all’acquisto di medicine e cure mediche rese necessarie dall’avanzare dell’età. Ai primi si negherà la possibilità di continuare a mantenere le tradizioni e la cultura dei genitori; agli altri, di continuare con la propria vita e abitudini, che probabilmente si limitano ad un caffè con gli amici e a una partita a “scopa”, a “tresette” o semplicemente a “dominò”.
È grande oggi la responsabilità delle Giunte Direttive dei vari Centri Italo-Venezuelani e Case d’Italia. Sono ad un bivio. Due sono i cammini che potranno intraprendere. Il primo è senz’altro il più facile: aumentare indiscriminatamente le quote di manutenzione senza preoccuparsi delle conseguenze. L’altro, è molto più difficile e complesso. Richiede coraggio poiché implica affrontare le avversità reinventandosi.
La matematica, purtroppo, non è un’opinione. Lo sappiamo tutti. Così come siamo tutti coscienti che far tornare i conti, oggi, è difficile in ogni ambito: dal familiare all’industriale. È per questo che agli Esecutivi dei nostri “centri” e Case d’Italia non si chiedono miracoli, ma l’impegno in un esercizio di geniale e concreta ingegneria amministrativa per servizi adeguati, favorendone la sostenibilità ma senza perdere di vista il loro vero “valore aggiunto”: il rispetto delle nostre tradizioni e della nostra cultura. Non è impossibile. Ma avranno bisogno d’idee creative e proposte innovative. A suggerirle dovremo essere anche noi”.