«Pensavamo di essere una risorsa per il nostro paese e invece sembriamo essere diventati solamente un peso, una voce di spesa da tagliare. In tre anni le risorse destinate sono scese del 55%, con tagli all’assistenza, alle attività culturali, ai corsi di lingua, e ora anche le chiusure dei consolati».
E’ un «grido di dolore» più che un atto d’accusa quello lanciato dai rappresentati delle Acli per gli italiani all’estero, riuniti a Londra per l’assemblea generale della Fai, la Federazione delle Acli internazionali, presente accanto ai nostri connazionali in 18 paesi del mondo: dall’Australia al Sudafrica, dal Canada all’Argentina, dalla Svizzera alla Gran Bretagna.
Dal 2008 al 2011 i fondi del Ministero degli Affari esteri per gli italiani residenti all’estero sono passati da 131 a 59 milioni annui. Il Ministero subirà ulteriori pesanti tagli come conseguenza delle ultime manovre finanziarie (206 milioni di euro nel 2012, 71,8 milioni nel 2013 e 93,4 milioni nel 2014). Tagli che si ripercuoteranno ulteriormente sui connazionali che vivono fuori dall’Italia. Ma non è solo una questione economica quella posta dai delegati delle Acli, giunti a Londra da Argentina e Brasile, Belgio e Francia, Germania, Lussemburgo, Olanda, Svizzera e Gran Bretagna. Cruciale è la questione della rappresentanza.
I delegati delle Acli contestano con forza la legge di riforma di Comites e Cgie, approvata lo scorso maggio in Senato e ora in discussione alla Camera, che «evidenza una sostanziale volontà di emarginare l’associazionismo». La legge introduce infatti la non eleggibilità per i soggetti che rivestano cariche rappresentative presso gli istituti di patronato e di assistenza sociale. «Ma il privato sociale non può essere discriminato – protestano i rappresentanti degli italiani all’estero – Si tratta spesso proprio di quei cittadini e che operano e vivono i problemi delle nostra comunità con competenza e solidarietà. L’operazione serve semplicemente ad aprire le porte degli organismi ai rappresentanti dei partiti politici».
Contestata anche l’introduzione del sistema maggioritario per l’elezione dei Comites: premio di maggioranza alla lista che riporta più voti e nomina automatica del presidente. «Questo sistema non si addice a un organo di rappresentanza della società civile come sono i Comites. Ne mina anzi il pluralismo, rischiando di riprodurre le logiche e le dinamiche della contrapposizione politica».
Infine la questione del voto per eleggere i rappresentanti nel Parlamento italiano. «La conferma del voto per corrispondenza – dicono le Acli – deve essere sostenuta da procedure precise al fine di garantirne la correttezza e la trasparenza in modo assoluto. Una forma efficace di controllo può essere rappresentata dall’iscrizione volontaria alle liste elettorali da parte dei cittadini all’estero che intendono effettivamente votare». «Ma senza un’adeguata considerazione da parte del governo italiano – aggiungono i delegati –, senza una reale rappresentanza nei Comitati degli italiani all’estero, anche l’elezione al Parlamento italiano non ha più alcun senso».
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