A un cittadino italiano residente in Svizzera e che veniva a lavorare in Italia ogni giorno per poi tornare in Svizzera era stata contestata dall’Agenzia delle Entrate un’omessa presentazione della dichiarazione per redditi da lavoro percepiti in Italia e corrisposti da una società italiana.
La Commissione tributaria competente della Lombardia aveva in precedenza già evidenziato che non era legittimo, come invece riteneva l’Agenzia delle Entrate, considerare il cittadino residente fiscale in Italia alla luce dei fatti che egli aveva dimostrato di essere effettivamente residente in Svizzera dal 1997, di essere iscritto all’AIRE dal 1998, unitamente a moglie e figlio, di essere titolare del mutuo stipulato per l’acquisto dell’abitazione in Svizzera, di essere titolare di più utenze domestiche (elettricità, gasolio, telefono, acqua, televisione), che il figlio frequentava l’Università di Zurigo e la moglie lavorava in una scuola di Lugano.
La Corte ha ritenuto infine irrilevante ai fini fiscali, a fronte di tali numerosi elementi, che egli lavorasse presso una società con sede in Italia, avendo anche dimostrato (a mezzo estratti Telepass) di recarsi giornalmente al lavoro dalla propria abitazione in Svizzera, vista la poca distanza.
Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è stato quindi respinto dalla Corte di cassazione in questa sua recente e importante pronuncia con la quale, in estrema sintesi (si consiglia a chi è interessato di esaminare la approfondita e complessa Ordinanza), la Cassazione ha praticamente affermato che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti in Italia le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.
Nel caso in questione il cittadino è residente in Svizzera (anche alla luce di quanto sopra evidenziato) ed è iscritto all’AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all’estero), il criterio di attribuzione della residenza fiscale in Italia invocato dall’Agenzia sarebbe rappresentato dal domicilio fiscale in Italia (visto lo svolgimento in Italia della sua attività lavorativa).
Su questo punto, ha rilevato la Corte, una costante giurisprudenza di legittimità evidenzia che il domicilio debba essere inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali, come desumibile da elementi presuntivi da valutare in relazione al luogo in cui la persona intrattiene sia i rapporti personali che quelli economici.
Nel caso esaminato devono quindi essere valorizzati, secondo la Cassazione, gli elementi esibiti dal cittadino volti a provare che da molti anni egli aveva stabilito il proprio centro di interessi vitali in Svizzera, unitamente al proprio nucleo familiare.
In conclusione la Cassazione ha sottolineato che non vi erano elementi precisi, gravi e concordanti per dimostrare la fittizietà della residenza estera, tenuto conto che la vicinanza tra luogo di residenza e sede di lavoro non impedisse di considerare il centro di interessi vitali in Svizzera.
On. Angela Schirò, Pd