"Me la dejaron picando". In Argentina, c’è questa espressione, presa dal lessico calcistico, per definire un’occasione ghiotta, imperdibile, simile a quella del bomber che riceve solo la palla davanti alla porta, all’altezza giusta per colpirla con tutta la forza e mandarla in fondo alla rete. "Me la dejaron picando", può dire l’on. Ricardo Merlo, constatando che nessuno dei suoi colleghi si è presentato all’appuntamento convocato dal Comites di Buenos Aires, per ottenere che "i nostri cinque" facessero un dibattito sulla situazione economica e politica italiana. Non è colpa sua se gli hanno lasciato a disposizione un pubblico maggiormente di amici e simpatizzanti, coi quali non ha avuto problemi a tenere il suo sproloquio, che, in virtù della mancanza di opinioni opposte, è diventato un vero e proprio comizio del Maie.
Al di là dei punti di vista sulla situazione italiana, le responsabilità e possibili soluzioni e sviluppi che, come egli stesso ha detto, possono essere condivisibili o meno, ci hanno colpito una affermazione fatta dall’on. Merlo e una risposta ad un intervento di un consigliere del Comites. Nel suo discorso, Merlo ha parlato della situazione italiana anche nei confronti degli italiani all’estero, ed ha sottolineato il contrasto tra la prima esperienza dei parlamentari eletti all’estero, dal 2006 al 2008 e la seconda, iniziata col nuovo governo Berlusconi. In riferimento al primo periodo, Merlo ha parlato delle maggiori possibilità di interloquire col governo Prodi, perché il vice ministro Franco Danieli conosceva le nostre problematiche, ma anche perché c’era la nota situazione al Senato, aggiungendo: "avevamo potere di ricatto". Ma subito dopo ha spiegato che quanto fu ottenuto allora (convenzioni con assicurazioni sanitarie per l’assistenza sanitaria agli indigenti, più personale nei consolati, maggiori fondi per la diffusione della cultura), non fu merito dell’azione di una sola persona, di un solo senatore, ma del lavoro e degli interventi di tutti gli eletti all’estero.
E’ facile scoprire l’identità di colui che "aveva il potere di ricattare" nel senatore Luigi Pallaro (il cui nome però, Merlo non ha mai pronunciato e questo pure ci ha colpito), dato che era il titolare del pulsante che al Senato faceva la differenza.
Merlo in quelle elezioni del 2006 fu eletto nella lista di Pallaro e sapeva bene che la posizione dell’AISA, cioè la lista dell’Associazionismo, era di sostenere il governo che aveva vinto le elezioni. Così era stato annunciato e così è stato fatto dopo che c’erano le condizioni per l’insediamento del governo Prodi. Pallaro spiegò in molte occasioni che quando fu convocato da Prodi, parlò con l’allora premier delle attese degli italiani all’estero, delle loro urgenze e delle possibilità che aveva l’Italia in quel momento. Prodi capì e il suo governo dispose l’aumento dei fondi per i capitoli del bilancio che abbiamo menzionato sopra. Pallaro da parte sua non mancò mai alla promessa di sostenere il governo nei momenti in cui la sua continuità fosse in pericolo. La caduta di Prodi non è da addebitarsi al sen. Pallaro in quanto, come è stato spiegato tante volte, non fu la sua assenza da Roma (si trovava in Sudamerica) a condannare Prodi, ma il voto contrario dell’ex ministro Mastella.
Sorprende che Merlo abbia accolto le tesi dei media italiani contrari al voto degli italiani all’estero, che hanno sempre mistificato (e continuano a farlo) sul "ricatto di Pallaro" e sulle sue presunte responsabilità nella caduta di Prodi. Una posizione che Merlo ha ribadito aderendo alla tesi manifestata da un consigliere del Comites che, nel giro di interventi seguito al discorso del deputato, ha spiegato che Prodi era caduto a causa del voto contrario di Mastella e di "un nostro senatore che ci aveva fregato".
D’altra parte però, non è chiaro se la favorevole condizione che avevamo durante il governo Prodi era dovuta al "potere di ricatto", che presuntivamente era nelle mani di Pallaro, o all’azione di tutti i parlamentari eletti all’estero, come ha sostenuto Merlo. Perché se il "ricattatore" era solo Pallaro, allora l’attività degli altri non contava niente. Se invece il presunto "potere ricattatorio" era condiviso da tutti, anche Merlo era "ricattatore".
Come abbiamo scritto sopra e in altre occasioni, Pallaro non ha “ricattato” Prodi. Ha agito da persona responsabile che, come aveva annunciato in campagna elettorale, andò in Italia per spiegare la realtà degli italiani all’estero, non per cambiare il governo che avevano eletto gli italiani in Italia. Pallaro spiegò che se fosse stato eletto, avrebbe appoggiato il governo eletto dagli italiani in Italia, perché è l’unico modo per farci ascoltare. Pallaro non andò a Roma per pontificare su cosa doveva fare il governo per risolvere la crisi. Pur se il suo voto poteva essere determinante, il senatore non chiese la luna, ma ottenne quel che responsabilmente si poteva chiedere ed ottenere in quel momento.
Dopo la caduta di Prodi, Merlo è tornato alla Camera per un secondo periodo e si è seduto tra i banchi dell’opposizione. Ha fatto accordi politici col terzo polo, ha girato il mondo costruendo la rete del Maie, con l’intenzione di avere un numero più consistente di parlamentari e di elettori all’estero, per contare di più. Una attività che lo tiene spesso lontano dal Parlamento dove, comunque, la sua attività può essere solo testimoniale, secondo quanto viene sostenendo quasi fin dall’inizio della presente legislatura. La domanda che in molti si fanno è – potere ricattatorio o meno – cosa ha ottenuto l’on. Merlo in favore degli italiani all’estero nei cinque anni trascorsi da quando siede a Montecitorio?
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