Da tempo il sottoscritto, con commenti su ItaliaChiamaItalia, interventi al CGIE ed in altri ambiti che si occupano degli Italiani all’Estero, attira l’attenzione sulla necessità di rivedere l’organizzazione della Farnesina e le spese connesse alla sua attività. Ciò anche in riferimento alla riduzione degli stanziamenti complessivi per il Ministero, che hanno inciso in maniera prevalente e pressoché totalitaria sul comparto relativo agli Italiani all’Estero.
Ma su questo argomento vi è stato sempre un totale silenzio da parte delle associazioni dell’emigrazione, dei consiglieri del Cgie, dei deputati eletti all’estero: evidentemente, da un lato non si voleva disturbare un mostro sacro qual è il complesso della Farnesina – cui tanti, per un motivo o l’altro, erano legati – e, dall’altro, era più facile e comodo prendersela con il povero Mantica (l’ex sottosegretario agli Esteri con delega agli italiani nel mondo, ndr) capro espiatorio di scelte non sue, soprattutto in materia finanziaria.
Leggiamo ora con soddisfazione l’annuncio di una proposta di legge dei deputati eletti all’estero Marco Fedi, Gianni Farina e Laura Garavini i quali chiedono che i funzionari del Ministero inviati all’estero rientranti nella categoria “Ise” abbiano una retribuzione più adeguata alle ristrettezze finanziarie che sta attraversando l’Italia ed anche al trattamento economico dei loro colleghi stranieri, destinando i risparmi conseguenti ai capitoli riservati agli Italiani all’Estero. Ed indicano, come tetto massimo, la retribuzione dei parlamentari: evidentemente, prendono di più! Alla faccia, direbbe Totò…
Nel condividere questa proposta, che auspichiamo sia attuata, ne suggeriamo un’altra che il sottoscritto spesso evidenzia. Da quando è sorta l’Unione Europea, con i suoi Trattati da Maastricht a Lisbona, i legami tra i vari Paesi membri si sono fatti più stretti e frequenti. Si può dire che non passi settimana che non ci sia qualche riunione interministeriale; o qualche mese che non ci siano riunioni personali di capi di governo. Questo, senza tener conto di telefonate, videoconferenze, messaggi viaggianti sulla rete telematica.
Ed allora ci domandiamo: servono ancora le Ambasciate, magari di “rango”, in Europa? Servono, ad esempio, tre ambasciatori a Bruxelles (presso il Belgio, presso l’Unione Europea, presso la Nato)? Per parlare con la Merkel e Sarkozy, i nostri presidenti del consiglio hanno bisogno d’incaricare gli ambasciatori di trasmettere “note verbali” o molto più semplicemente usano i loro cellulari (augurandosi che non siano intercettati)?
Non diciamo di sopprimere sic et simpliciter le ambasciate nei paesi membri dell’Unione Europea, ne va dell’immagine stessa del nostro Paese, ma ridurle di numero e di ampollosità certamente sì. Bastano un buon punto di contatto e di osservazione, una buona struttura di cancelleria senza gli orpelli di ottocentesca memoria. I risparmi così ottenuti potrebbero allora essere utilizzati ad esempio per tenere aperti i Consolati, o gli Istituti di Cultura, entrambi necessari per gli scambi turistici e culturali oltre che per occuparsi delle nostre comunità.
Ci auguriamo che l’onorevole Fedi ed i suoi amici prestino attenzione anche a questa questione, che potrebbe portare qualche ulteriore risparmio da riutilizzare positivamente.
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