I Governi nascono per svolgere una piena azione di Governo. Un Governo che agisse solo in campo economico, utilizzando la riconquistata credibilità internazionale, risultando debole sotto il profilo politico o con una maggioranza instabile o incerta, non sarebbe utile all’Italia. In questo senso il Governo Monti ha la forza politica che il Parlamento riesce a esprimere, sia attraverso il confronto istituzionale sia attraverso il dibattito tra maggioranza e opposizione. Per queste motivazioni trovo fuori da ogni logica politica reale svolgere una discussione sull’orientamento politico del Governo Monti in termini tradizionali di destra o sinistra.
Il Governo Monti, nascendo da un’ampia base parlamentare, deve lavorare sul programma con il quale si è presentato alle Camere ma individuare, insieme alle forze politiche che lo sostengono, altri obiettivi urgenti di una necessaria azione riformatrice complessiva. Le riforme in campo economico e fiscale possono produrre positivi risultati solo se, oltre ai cambiamenti settoriali, partono contemporaneamente una serie di riforme complessive del sistema economico, sociale e politico.
Credo che il Governo Monti oggi abbia davanti questa sfida. La sfida di un Paese che deve tornare a credere in se stesso e a crescere. La lotta all’evasione fiscale, creare opportunità per i giovani, tassare le transazioni finanziarie, arrivare alla parità di bilancio, aprire un sistema economico fatto di caste, solo per citare alcune delle questioni più urgenti sulle quali si sta muovendo il Governo Monti, richiede una direzione politica dettata sia dall’emergenza sia dal raziocinio. Abbiamo bisogno di un Governo, pieno nel suo mandato, per guidare l’Italia fino alla scadenza delle prossime elezioni politiche. Ritengo quindi profondamente deleterio per la nostra democrazia fare continui riferimenti a mandati limitati di un Governo tecnico. Sono proprio queste le argomentazioni che indeboliscono le ragioni della politica. La politica oggi ci impone di sostenere un Governo indicando un percorso. In questo percorso dobbiamo, non solo chiedere più Europa, ma indicare anche quale Europa. Alcune delle questioni che siamo chiamati ad affrontare, infatti, possono trovare soluzione unicamente attraverso un’azione comune tra i Paesi dell’Unione Europea.
Chiedere più Europa, concorrendo a determinarne la qualità, richiede Governi forti e credibili: questa è la sfida dell’oggi. Il problema non è la continuità o la discontinuità con i precedenti Governi, in politica economica o estera, ma avere la forza per caratterizzare la proposta italiana in Europa. Quale maggioranza parlamentare ha sostenuto un Governo che è stato tanto credibile quanto forte e ascoltato per cambiare le sorti e i destini dell’Europa? Quale sinistra europea, oggi, sarebbe in grado di sconfiggere la destra sul piano delle politiche economiche, del lavoro, del welfare se non ritrova un percorso comune per le riforme? Il vero rischio, in questo momento, è una forzatura con le parti sociali che allontani la necessaria condivisione di un progetto riformista. In questo senso la discussione sull’art. 18 è indicativa di un forte bisogno di chiarezza. Tra le forze politiche, incluso il PD, per decidere se i simboli sono prioritari rispetto alle vere strategie per la ripresa economica e se i simboli, appunto perché tali, meritano un’attenzione maggiore nelle sedi preposte alla discussione anziché sulle prime pagine dei giornali.
Cambiare le sorti e i destini delle comunità italiane nel mondo La prima riflessione deve riguardare la genesi dei tagli. Inaugurati nel 2008 dal Governo Berlusconi, nascono in un clima politico fatto di disattenzione e da una scelta politica che faceva della disattenzione nei confronti degli italiani all’estero la strategia dominante del Governo. Con la disattenzione hanno cercato di “cavarsela”, facendo finta che i tagli non fossero una scelta ma una strada obbligata. Non solo. Non affrontando il tema riforme, il Governo Berlusconi è riuscito, in tre anni, a erodere un patrimonio di risorse ma anche di storia e di presenza italiana nel mondo. Una lenta e graduale erosione. Il Governo Monti ha dimostrato ascolto. Vedremo, valuteremo, misureremo e risponderemo. Esistono le condizioni per fare partire un percorso comune sulle riforme, come la cittadinanza, la rete diplomatico-consolare, la promozione e diffusione di lingua e cultura italiane nel mondo e le questioni legate alle nuove mobilità giovanili e professionali nel mondo. Accanto a questi temi ritengo assolutamente prioritario aprire un tavolo di confronto con i partiti politici, le forze sociali e del lavoro, le associazioni e i nuovi soggetti che si affacciano in emigrazione, per rilanciare un pacchetto di proposte, alcune anche a costo zero, per riconsegnare alla storia e alla politica il contributo di un patrimonio di intelligenze e sensibilità non ancora interamente disperso.
Cambiare le sorti e i destini della rappresentanza parlamentare per gli italiani all’estero L’esercizio in loco del diritto di voto è garantito dalla Costituzione. Questo elemento di verità dovrebbe guidare l’azione delle forze politiche che si accingono a ridisegnare la rappresentanza parlamentare per le comunità italiane nel mondo. I cittadini italiani iscritti all’AIRE sono elettori a tutti gli effetti e quindi partecipano alla vita politica del Paese attraverso gli strumenti normativi di cui ci siamo dotati nel rispetto del dettato costituzionale. La Costituzione impegna lo Stato a mettere i propri cittadini in grado di esercitare il diritto-dovere di voto e per quelli residenti all’estero a garantirne “l’effettività”. Il problema oggi non è più “mettere in sicurezza” il voto ma rendere il sistema della rappresentanza coerente con riforma costituzionale ed elettorale. Per raggiungere questo scopo non è assolutamente necessario iniziare un fuoco di “copertura” ma è invece auspicabile guardare ai dati oggettivi. Non è vero, ad esempio, che gli eletti all’estero sono poco affidabili, espressione smentita dai fatti degli ultimi sei anni. Non hanno bisogno di tutori, balie o badanti. La discussione sulla riforma non può partire da valutazioni qualitative sul lavoro dei parlamentari poiché sarebbe fuorviante, giacché le candidature sono state decise dalle forze politiche. Abbiamo invece bisogno di parole chiare sulla circoscrizione estero e sull’architettura complessiva della rappresentanza. Abolendo la circoscrizione estero, come taluni chiedono e auspicano, verrebbe a mancare lo strumento attraverso il quale si realizza il voto in loco. Con la circoscrizione estero era nata un’idea di rappresentanza collegata con le comunità italiane nel mondo. Ripensarla è possibile. Ripensarla nella qualità, nella composizione numerica e nelle regole, ma con razionalità e coerenza, tenendo presente che comunque occorre dare risposta al tema centrale della partecipazione politica ed elettorale di 4 milioni di cittadini italiani iscritti all’AIRE.
*deputato Pd eletto all’estero
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