Roma – Emma Bonino, da ministro degli Esteri, era intenzionata a chiudere il CGIE. Se non ne eravate a conoscenza non sentitevi in colpa. Non ne sapevano nulla nemmeno i parlamentari eletti all’estero, che hanno scoperto le intenzioni della Farnesina durante il governo Letta solamente in queste ore, grazie ad alcune indiscrezioni – ritenute "attendibili" – secondo le quali attualmente il Mae, sotto la guida Mogherini, avrebbe invece deciso di salvare il Comitato generale degli italiani all’estero sacrificando, al suo posto, la rete dei Comites, che dovrebbero diminuire ed essere formati da un minor numero di componenti, in maniera tale da risparmiare 600mila euro.
Onorevole Fedi, avete tanto contestato in passato le decisioni sulla rete estera del governo Berlusconi, ma il Pd, oggi, non sembra stia lavorando meglio.
“Le critiche rivolte alla Farnesina sono sommarie e premature. E’ presto per dare un giudizio perché la discussione sulla rete estera deve ancora arrivare nelle aule parlamentari e, ad oggi, tutte le decisioni prese o annunciate sui consolati sono frutto di un’eredità del passato. Mogherini, almeno, è stata chiara e ha detto fin da subito quali chiusure erano state decise, a differenza di quanto fatto dalla sua collega Bonino che, a quanto pare, ipotizzava di chiudere il Cgie e non si era nemmeno preoccupata di dircelo”.
A che cosa si riferisce?
“Abbiamo saputo proprio in queste ore che, durante il governo Letta, il ministro degli Esteri aveva intenzione di chiudere il Consiglio generale degli italiani all’estero. Ne siamo venuti a conoscenza solamente oggi, attraverso indiscrezioni interne, ma nessuno di noi è stato mai chiamato a esprimere un parere su un atto parlamentare che riguardasse la decisione di decretare la fine del Cgie”.
La nuova linea del Mae ha confermato questa chiusura?
“No, al contrario ora si intende salvare il Cgie, ma agire sui Comites. Anche in questo caso, ciò che sappiamo è frutto di indiscrezioni. Attendibili, ma pur sempre indiscrezioni. Ormai le decisioni prese ai vertici si vengono a sapere in questo modo, siamo di fronte a un vuoto politico che crea situazioni di questo tipo, nelle quali le iniziative non vengono prese grazie a un percorso parlamentare volto alla valutazione di un atto e alle proposte dei diretti interessati. Non c’è una visione politica e invece di ambire a una riforma complessiva del sistema, che punti all’efficienza e all’ammodernamento oltre che al risparmio, si procede con il singolo intervento”.
Che cosa avete appreso circa il nuovo piano relativo ai Comites?
“Abbiamo appreso che c’è un’ipotesi di ulteriore riduzione dei Comites nel loro numero e nei relativi costi. In concreto, il salvataggio del Cgie si otterrebbe diminuendo i Comites per avere un risparmio complessivo di 600mila euro. A questo punto non posso non domandarmi come sia possibile che non si riesca a reperire in alcun altro modo questa cifra. Per questo motivo, insieme agli altri eletti del mio partito, stiamo chiedendo proprio in queste ore un confronto con il ministro Mogherini. Noi parlamentari ormai siamo gli ultimi a sapere ciò che accade: capisco che il governo stia lavorando con estrema difficoltà per trovare tutte le risorse necessarie, ma se facessero ricorso a noi potremmo aiutarli nella definizione di un piano complessivo, poiché certamente conosciamo meglio la materia”.
Le nuove chiusure, anche se ereditate dal passato, arrivano ugualmente da un ministro del vostro partito. Come potete scaricarvi da questa responsabilità davanti gli elettori?
“E’ vero, abbiamo questa responsabilità e non ho alcuna intenzione di scaricarla. Si tratta, però, di una responsabilità condivisa anche con quelle altre forze politiche che hanno, almeno inizialmente, appoggiato il governo. Mi riferisco anche al MAIE, che ora ha preso posizioni diverse ma inizialmente aveva creduto in questo progetto. Noi ci prendiamo la responsabilità delle decisioni del governo, ma ‘prendersi la responsabilità’, per me, significa anche fare proposte serie e realizzabili. Siamo di fronte a una spending review che impegna tutti i settori del Paese e, di conseguenza, non intendo chiedere che tutti i costi rimangano invariati ma, al contrario, trovo giusto impegnarsi tutti insieme per studiare il modo di trovare questi 600mila euro”.
Tutti insieme voi del Pd o tutti insieme con gli eletti all’estero di ogni schieramento?
“Intendo con tutti gli eletti, naturalmente noi del Pd abbiamo altre responsabilità che ci assumeremo quando il decreto arriverà in aula ed esprimeremo le nostre proposte emendative. E’ inutile rinfacciare ‘colpe’ politiche che sono già ovvie ed evidenti, mi sembra più costruttivo fare uno sforzo tutti insieme per trovare una soluzione alternativa”.
Quale soluzione, in concreto? E perché il governo dovrebbe ascoltarvi, visto che – a quanto lei stesso racconta – siete "gli ultimi a sapere le cose"?
“Stiamo proponendo idee di riforme alternative a tutti i governi. Il peggiore rimane Mantica con i suoi tagli lineari. Durante i governi Monti e Letta siamo riusciti a fermare alcune chiusure. Ora è in corso una revisione della spesa, che è certo più giusta dei tagli indiscriminati, e vogliamo vederci chiaro. Abbiamo il sospetto che sull’Ise del personale inviato all’estero ci siano strane operazioni”.
Di che tipo? Si finge di ridurre le indennità percepite dal personale diplomatico?
“Non ho ancora elementi per esprimermi, potrò valutare solamente quando avremo il quadro intero della situazione. Ciò che sappiamo finora è che si riduce l’Ise, ma non vorremmo che a fronte di questa diminuzione si aumentassero altre voci di spesa che vanno ugualmente a beneficio del diplomatico in questione. Analizzeremo bene queste riforme”.
In altre parole, si fa uscire una spesa da un lato per farla rientrare dall’altro.
“Sì, non vorremmo che questo accadesse. Siamo intenzionati a capire quanto risparmio si vuole ottenere e dove, se possiamo recuperare un margine per le spese dei Comites che, a loro volta, devono cambiare. Bisogna rendersi conto che il mondo degli italiani all’estero sta mutando rapidamente e i Comites non lo rappresentano più nella sua totalità”.
Come dovrebbe essere il nuovo Comites?
“Sarebbe molto più utile e operativo un solo Comites per ogni Paese, a ognuno dei quali potrebbe corrispondere il consolato di riferimento. Anche in questo caso, il consolato diventerebbe uno solo per ogni stato e fungerebbe da riferimento generale, mentre le pratiche di servizio e amministrative potrebbero essere svolte attraverso lo sportello consolare. In questo modo si salverebbe il servizio al cittadino e si otterrebbe un notevole risparmio ma, finora, non ho trovato nessun governo interessato a parlare seriamente di questa proposta. Il mondo cambia e le spese vanno ridotte, non possiamo solamente dire di no altrimenti rischiamo di sembrare dei conservatori privi di volontà decisionale. Dobbiamo, invece, proporre soluzioni alternative che mirino a mantenere alto il livello dei servizi offerti ai connazionali”.
Questa nuova visione dei Comites deriva da una proposta di partito?
“No, si tratta di una proposta personale che, però, ha già raccolto dei consensi. Anche Tonini, il nostro capogruppo in Senato nella commissione Esteri, ha più volte affermato che un solo consolato per ogni paese unito agli sportelli consolari permetterebbe di risparmiare e magari, al tempo stesso, si avrebbero più risorse per fare funzionare meglio quelli che sono attivi”.
Il problema, però, rimane lo stesso. Per quale motivo il ministro dovrebbe ascoltarvi, visto che finora non l’ha fatto?
“E’ presto per dire che Mogherini non ci ascolta, è passato solo un mese dalla sua nomina. Auspichiamo che si realizzi il giusto dibattito su ogni soluzione, possiamo comprendere la necessità di risparmiare sui capitoli di spesa, chiediamo solo che ci venga data l’opportunità di esprimerci per proporre altre soluzioni”.
Difende l’operato del ministro, e quindi del governo, poiché in carica da troppo poco tempo. E’ diventato improvvisamente molto più morbido con Renzi?
“No, non sono diventato più morbido, non apprezzo il suo stile né il modo in cui è diventato premier, però mi rendo conto che, oggi, è lui l’unica alternativa. Con queste parole mi riferisco non alla persona ma agli impegni importanti che sono stati presi e che si stanno realizzando come, ad esempio, l’attenzione alle fasce più deboli con gli ottanta euro in più in busta paga. Se tutto questo si dovesse concretizzare, riuscendo a rimanere nei parametri europei ma riformando, al tempo stesso, le politiche dell’austerity, non vedo per quale motivo non dovrei pensare che abbia fatto bene il suo lavoro”.
Non è detto che un premier che lavori bene per gli italiani in Italia riesca a fare altrettanto per quelli che vivono all’estero. Che senso avrebbe rimanere in un partito che non ha dato le giuste risposte a quella stessa circoscrizione che le ha permesso di entrare in parlamento? Vista la situazione, per quale motivo non valuta l’ipotesi di abbandonare il partito?
“Ripeto: è troppo presto per fare una valutazione così netta. Supponiamo poi che tutti gli eletti all’estero uscissero dai rispettivi partiti per unirsi in un unico gruppo misto, che cosa otterremmo? Daremmo solamente un pessimo segnale politico e sembreremmo ancora meno credibili, essere all’interno di un partito forte e organizzato ti dà la possibilità di imporre maggiormente le tue esigenze. La bicamerale contenuta nella proposta a prima firma di Farina, che io stesso ho sottoscritto, si pone questo obiettivo, fare in modo che tutti gli eletti lavorino insieme all’interno di una realtà che abbia una rilevanza istituzionale, una caratteristica che attualmente possiede solo il comitato del Senato, poiché quello della Camera è all’interno della commissione Esteri. Mi sembra più realistico e concreto procedere attuando la bicamerale e lavorando all’interno di essa. Poi, alle prossime elezioni, chi crede che gli interessi dei connazionali nel mondo siano rappresentati meglio da un movimento ad hoc potrà presentarsi alle urne e, se raccoglierà più consensi, avrà maggiore peso politico”.
E se invece il Pd dovesse realizzare grandi cose per l’Italia e ottenere un nulla di fatto per gli italiani all’estero, sarebbe pronto a lasciare il partito?
“Sì, in quel caso lascerò senza se e senza ma. Non credo, però, che questa ipotesi possa avverarsi. Ci vengono rivolte molte critiche anche per la questione di Imu, Tasi e Tarsi ma, in realtà, siamo riusciti a far rientrare le decisioni su questi argomenti tra le competenze dei Comuni e stiamo chiedendo all’Anci, e quindi a Fassino, di sensibilizzare le amministrazioni locali su questa esigenza”.
Crede che basti "sensibilizzare"?
“Alcuni Comuni si sono già dimostrati disponibili, come Torino o altri del Piemonte, ce ne sono alcuni che hanno già previsto anche l’esonero dal pagamento, ma stiamo aspettando la lista ufficiale. Chi ci critica si renda conto delle condizioni oggettive in cui operiamo. Stiamo chiedendo con forza alle amministrazioni locali di tenere conto delle esigenze dei nostri connazionali. Non è ragionevole chiedere di non pagare una tassa che pagano tutti, penso che sia invece ingiusto far pagare come seconda casa l’unica abitazione che si possiede sul territorio italiano. Il discorso diventa diverso per chi possiede tre o quattro case”.
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