Gian Luigi Ferretti, direttore de L’Italiano, dedica il suo editoriale di oggi all’attualità libica, che vede ormai agli sgoccioli il regime del Colonnello Gheddafi. In particolare, il pensiero di Ferretti va ai profughi italiani, e "al Comm. Carlo Lattanzi, che rappresentava i profughi italiani dalla Libia in seno al CTIM negli anni 70". "Mi ricordo la sua rabbia impotente contro il criminale di Tripoli, mi ricordo la sua passione nel difendere gli interessi dei suoi compagni di sventura, la sua nostalgia della terra libica. A lui dedico la mia gioia nell’apprendere le buone notizie dalla Libia".
Il primo settembre del 1969, ricorda Ferretti, quando Gheddafi prese il potere con un colpo di Stato, in Libia "c’erano ventimila italiani. Consideravano la Libia come loro seconda patria, avevano costruito strade, scuole, ospedali. Il 21 luglio dell’anno dopo il nuovo leader emanò un decreto per ‘restituire al popolo libico le ricchezze dei suoi figli e dei suoi avi usurpate dagli oppressori’ in base al quale gli italiani vennero privati di ogni loro bene, compresi i contributi assistenziali versati all’INPS e da questo trasferiti in base all’accordo all’istituto libico corrispondente e furono sottoposti ad inutili vessazioni e costretti a lasciare il Paese entro il 15 ottobre del 70. Tutto ciò avvenne in clamorosa violazione del diritto internazionale e specificatamente del trattato italo-libico del 12 ottobre 1956, nonchè delle risoluzioni dell’Assemblea generale dell’ONU relative alla proclamazione d’indipendenza che garantivano diritti ed interessi delle minoranze residenti nel Paese. Contemporaneamente il regime requisì anche i beni lasciati dagli ebrei, beni che erano stati presi in custodia dopo la guerra dei 6 giorni del 1967".
"In quell’occasione – prosegue il giornalista – il Governo italiano, vergognosamente, ritenne di dover accettare il fatto compiuto per ragioni di opportunità politica ed economica. Rinunciò infatti a denunciare la violazione dell’accordo o chiedere l’arbitrato espressamente previsto dall’art. 17".
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