L’attuale momento della storia italiana, irto di difficoltà e di incertezze, può aprire la via a scenari molto diversi, ma siamo fiduciosi, anzi siamo certi, che come tante volte, anche nel passato recente, la crisi sarà occasione per una nuova ripresa.
Intanto noi, comunità italiana in Argentina, dovremmo riflettere sul futuro dei nostri rapporti con l’Italia. Al riguardo si manifestano diverse posizioni, tra i nostri dirigenti. C’è chi sostiene che non bisogna più guardare a Roma, perché impegnata a risolvere la crisi, non può pensare a noi. Dobbiamo guardare a casa nostra, cioè all’Argentina, se vogliamo trovare sostegno per conservare il nostro patrimonio storico, costituito fondamentalmente dalle nostre associazioni e se vogliamo costruire rapporti nuovi con l’Italia.
Un altro punto di vista sostiene invece che effettivamente oggi l’Italia non ha né la possibilità, né la volontà di venirci incontro, impegnata così com’è nel superare la crisi. Ma che questa é una situazione transitoria e che una volta che si sarà ripresa, tornerà a stabilire un dialogo fecondo con gli italiani all’estero. Ma intanto dobbiamo trovare forme nuove per sostenere le poche o molte iniziative alle quali abbiamo dato vita lungo la nostra storia in Argentina.
Infine c’è chi continua a sostenere che, al di là della situazione, l’Italia ha la possibilità e soprattutto il dovere morale, di sostenerci. In altre parole, chi sostiene questa posizione continua a ripetere i discorsi che si facevano cinque, dieci, venti anni fa, in un contesto totalmente diverso.
Ci sono dirigenti, infatti, che non hanno capito che non si può continuare a chiedere come se non fosse successo niente. Come se l’Italia non vivesse una crisi economica e sociale assai profonda. E come se l’Argentina non si fosse ripresa dalla crisi del 2011 e non avesse superato gli anni bui della recessione.
L’Italia, dirà qualcuno, continua ad essere una delle grandi potenze economiche mondiali e comunque c’è ancora tanto spreco e tanta corruzione, soldi che, oltre a servire a rimettere i conti a posto, potrebbero aiutare a sostenere una politica per gli italiani all’estero. L’Argentina, sosterrà qualcun’altro, deve ancora far fronte ad una povertà e ad una esclusione che colpiscono oltre un quarto della popolazione, per cui ha altri temi di cui occuparsi.
Abituati da anni solo a chiedere, questi dirigenti non riescono a pensare ad altre soluzioni, a nuove alternative, per adempiere ai loro doveri. Infatti, chi è dirigente, non ha solo l’onore, ma anche l’onere di rappresentare la collettività che lo ha eletto.
Bisogna riconoscere e ricordare che ci fu un tempo in cui, da una parte l’Argentina era sprofondata nella crisi e non parliamo solo di quella del 2001, ma anche di quella precedente del 1989, che viveva l’allora giovane democrazia di questo paese. L’Italia di allora, che aveva conquistato il suo posto nell’esclusivo club del G7, accorse in aiuto di questo paese, della sua giovane democrazia e della comunità italiana qui residente. Il verbo che allora coniugavamo era “chiedere”. Le cose per l’Argentina cominciarono a migliorare – si sa ormai che ogni dieci anni andiamo su per poi sprofondare un’altra volta – ma l’interesse economico dell’Italia verso l’Argentina degli anni ‘90 era alto, ragion per cui come comunità, continuano a recitare il verbo “chiedere”. Scoppiata la grande crisi del 2001, come avrebbe potuto l’Italia non accorrere in aiuto dei fratelli argentini e della comunità italiana più numerosa all’estero? L’allora presidente dell’Argentina Eduardo Duhalde, disse che l’Italia era stato il paese più solidale con il paese nei giorni della crisi. Una notte buia che colpì anche tanti italiani e loro discendenti residenti in questo Paese, ragion per cui la solidarietà si manifestò in forme molto svariate, anche con la nostra comunità. Abbiamo continuato a pensare che dovevamo solo chiedere.
Poi ci fu la prima elezione dei nostri parlamentari, nel 2006. Si sa cosa successe. Luigi Pallaro, senatore, conoscitore della collettività come pochi, portò a Roma le nostre richieste e ottenne dal governo Prodi molte delle cose che da tempo chiedevamo: piano di assistenza per gli anziani indigenti, più personale e strutture migliori per i consolati, ulteriori fondi per l’insegnamento dell’italiano. Ma Pallaro era, ed è, anche un grande imprenditore che capì subito che se non costruivamo nuovi ponti con l’Italia, se non ci facevamo i ciceroni dell’Italia in questo continente, per mostrare le sue grandi possibilità, Roma alla fine si sarebbe stancata delle nostre richieste. Purtroppo il governo Prodi cadde e la stampa italiana ricorda di Pallaro solo le richieste fatte a nome nostro.
Nel 2008 con la nuova elezione, è arrivata la crisi finanziaria internazionale che si è protratta in forme diverse fino ad oggi, colpendo anche l’Italia in modo grave. Si sa quali sono le conseguenze dell’aggiustamento dei conti: disoccupazione, recessione, persino la disperazione di tante persone che non ce la fanno. Di fronte a questo panorama, come si può continuare a recitare come una litania “l’Italia deve aiutarci”? Come si può continuare a ripetere che è una vergogna che abbiano ridotto o azzerato i fondi per quasi tutti i capitoli dedicati agli italiani all’estero? Non si tratta di essere retorici, ma di essere realisti. Continuare a reclamare, come fanno certi dirigenti, è non solo illusorio, ma è anche controproducente. Chi ha a cuore la nostra comunità, gli emigrati italiani in Argentina, le nostre associazioni, il nostro passato e il nostro futuro, non può più solo chiedere come si faceva una volta. Deve pensare e riflettere, dibattere con gli altri e pensare a nuove iniziative, proposte, idee. Si può percorrere “la via argentina” o “la via italiana”, o anche, con intelligenza, seguirle entrambe. Invece non si possono più seguire i riti del passato, continuare a fare il muro del pianto. E’ inutile e dannoso.
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