L’Italia nel 2014 si è piazzata all’ottavo posto a Miami-Dade, secondo Paese europeo dopo la Francia. In quella che è la classifica per nazioni di chi compra casa in South Florida gli italiani si sono ritagliati una fetta del 4% nel mercato internazionale. Davanti i Paesi del Sudamerica, come è tradizione, dal Venezuela all’Argentina, poi Brasile, Colombia e dopo la quinta piazza francese, ecco solo Canada e Messico a precedere l’Italia. Un dato che conferma l’amore costante verso South Beach e dintorni.
Un flusso continuo di connazionali, ma non c’è un numero certo che possa dire in quanti siamo, anche perchè non tutti coloro che si trasferiscono si registrano all’AIRE, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero. Ecco allora che si possono solo effettuare calcoli approssimativi: 7/8.000 italiani radicati in questa parte degli Stati Uniti? Una stima che potrebbe essere non corrispondente al vero, perchè probabilmente vista per difetto e non certo in eccesso. Ma se gli italiani, quelli nati in Italia, sono in buon numero, generalmente non ci si accorge della loro presenza. Perchè a Miami, e più in generale in Florida, l’italiano non si aggrega come succede da altre parti, non si unisce sotto la bandiera, a parte i Mondiali di calcio, preferisce non mettersi troppo in mostra. Una dimostrazione, anche se conta molto poco visto l’interesse suscitato, arriva dalle recenti votazioni per il Comites.
Quante schede sono ritornate al Consolato? Poche centinaia. Non c’è aggregazione, perchè probabilmente non c’è, come da altre parti (dove comunque si parla di italo-americani di diverse generazioni) quella mancanza del proprio Paese e quella voglia, importante, di ritrovare i propri legami. A Miami il prototipo dell’italiano che arriva e si ferma è quello che si è stancato dei difetti dell’Italia e cerca i pregi degli Stati Uniti, anche se la città è un’America un po’ particolare. Sono quasi 2,7 milioni gli abitanti della contea di Miami-Dade e quasi 1,7 milioni sono ispanici, si parla più lo spagnolo dell’inglese e anche questo aiuta l’italiano.
C’è poi lo stereotipo che viene raccontato in Italia, anche se la Miami che Rai Tre ha mandato in onda lo scorso gennaio, spacciando quel programma per documentario, ha raccontato di una situazione che non è assolutamente vera. Anzi, ha fatto arrabbiare gli italiani che a Miami lavorano, in tutti i campi, c’è chi investe, chi fa l’avvocato, il medico o l’agente immobiliare, chi gestisce imprese, grandi e piccole. Ci sono ristoratori e albergatori di successo, ma anche chi lavora in campi meno visibili. Perchè Miami non è più, magari lo sarà stata, quella delle luci al neon di Renzo Arbore e nemmeno quella della pseudo modella italica che riesce sempre, chissà perchè, a mandare qualche foto in bikini a Roma a dintorni per una vittoria della nazionale o di una qualsiasi squadra di club, tanto lei fa il tifo per tutti. Miami non è come viene descritta in Italia. Quella è solo l’apparenza raccolta da coloro, e sono la maggior parte degli… esperti, che non conoscono la città, magari sanno solo dov’è Ocean Drive o Lincoln Road, tanto c’è Google Maps.
Non basta passare una settimana a South Beach per dire di conoscere Miami. Soprattutto poi quella degli italiani, quelli che non si fanno vedere troppo, ma raccolgono successi nei loro campi.
South Beach, che poi non è la sola Miami, non è esclusivamente vita notturna e tintarelle al sole come gli ‘esperti’, anche televisivi, raccontano. C’è molto di più e nel tessuto connettivo della città c’è anche una buona rappresentativa italiana. C’è la Italy America Chamber of Commerce Southeast come punto di riferimento nel campo del business, ma poche altre organizzazioni capaci di aggregare. È nata una iniziativa online, italiandistrict.com, ma c’è anche la Florida Federation of Italian American Clubs: ha un elenco di una cinquantina di organizzazioni in tutto lo stato, appena due gli indirizzi di Miami. E se fosse adesso il nuovo Console Generale Gloria Marina Bellelli a provarci?
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