La settimana scorsa il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge presentato dal ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, che prevede una importante riforma dell’Esecutivo e del Parlamento italiano, rispetto all’attuale ordinamento costituzionale. Tra le proposte che il CdM ha fatto sue, c’è anche la modifica degli articoli 48, 56 e 57 della Costituzione, che costituiscono la base della creazione della Circoscrizione Estero e dell’assegnazione ad essa di diciotto parlamentari eletti fuori d’Italia.
Come abbiamo scritto la settimana scorsa, difficilmente passerà la proposta del ministro leghista anche perché, come faceva notare il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica, le riforme degli articoli della Costituzione richiedono la doppia approvazione da parte di ognuno dei rami del Parlamento, cioè quattro voti positivi, come è stato quando furono modificati gli articoli citati per far nascere la Circoscrizione Estero.
Naturalmente si susseguono le dichiarazioni sull’argomento, quasi tutte contrarie, visto che coloro che si esprimono sono parlamentari eletti all’estero o, comunque, persone legate a quello che una volta veniva definito il mondo dell’emigrazione.
Fra tante dichiarazioni, ci sono alcune, di persone legate ai partiti del centrodestra, che sostengono che la modifica proposta da Calderoli non comporta l’abrogazione del voto degli italiani nel mondo ma, semplicemente, della Circoscrizione Estero e dei parlamentari che la rappresentano. Certamente è così. La battaglia dell’ex ministro Tremaglia non fu fatta per ottenere il riconoscimento del diritto di voto da parte di chi era emigrato e risiedeva stabilmente all’estero, perché tale diritto era riconosciuto dalla Costituzione del dopoguerra. Quel che fu conquistato invece, fu l’esercizio del diritto di voto già riconosciuto. Inoltre, volendo in qualche modo evitare che gli italiani all’estero fossero vittime dei partiti, volle assicurare – attraverso la legge sul voto all’estero – che i deputati e senatori fossero eletti in loco, tra persone anch’esse residenti all’estero. Evitando cioè, che potessero candidarsi persone residenti in Italia. Proprio questa parte della normativa sul voto all’estero non va giù alla politica e ai politici italiani e per questo hanno cercato di rendere assolutamente inefficace la nostra presenza in Parlamento.
Lo hanno fatto candidando parlamentari che solo rispondevanno o rispondono agli ordini dei capigruppi o candidati che nessuno conosceva e, peggio ancora, che non conoscevano la nostra collettività. Quei pochi che non sono rientrati in tali categorie, sono rimasti ai margini, per una presenza soltanto testimoniale. L’eccezione Pallaro è stata, appunto, una eccezione. La politica italiana così è riuscita a vanificare la presenza in Parlamento di deputati e senatori eletti all’estero.
Il nostro voto è stato concepito come uno strumento per ottenere l’attenzione di Roma sulle tematiche degli italiani all’estero. Fa parte di una struttura di rappresentanza unica, insieme a Comites e CGIE; e non è casuale che la crisi di questi due organi di rappresentanza coincida con quella della mancanza di influenza dei parlamentari italiani eletti all’estero. Proprio per questo, a cominciare dalla nostra comunità, dovremmo chiederci se siamo ancora interessati ai rapporti con l’Italia e se l’attuale struttura di rappresentanza è la più idonea per sostenere tali rapporti.
Il sottosegretario Mantica, pur ribadendo che l’abrogazione della Circoscrizione Estero non è all’ordine del giorno, ha sostenuto: “Anche gli sottosegretario Mantica, pur ribadendo che l’abrogazione della Circoscrizione Estero non è all’ordine del giorno, ha sostenuto: “Anche gli italiani all’estero devono riflettere sul lavoro che i loro rappresentanti in Parlamento sono riusciti o meno a fare. Ormai sono passati cinque anni…". Non ha tutti i torti…
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