Domenica scorsa si è consumato quello che oggi viene definito un dramma annunciato nel campo del calcio argentino: la retrocessione in Serie B del River Plate, il club che ha vinto più volte il campionato locale. Infatti, oggi praticamente tutti i commenti sono concordi sul fatto che per lungo tempo i dirigenti che si sono succeduti alla guida della società sono stati responsabili, per incapacità, per dissidio o per mancanza di scrupoli, del crollo di una tra le squadre più antiche, prestigiose e titolate del calcio, non solo argentino, ma anche a livello internazionale.
Per un giornale come la TRIBUNA ITALIANA, che guarda il mondo dall’ottica della comunità italiana in Argentina, il nome del River Plate è legato, tra l’altro, a quello dell’ex presidente Antonio Liberti, figlio di genovesi, che fu console argentino a Genova. Liberti e River Plate accorsero in aiuto delle famiglie dei giocatori del Grande Torino, che persero la vita nella tragedia della collina Superga, nel 1949. Molti furono gli italiani e figli di italiani tra i fondatori del Club Atlético River Plate che nacque nel tradizionale rione di emigrati genovesi di La Boca, nel 1901, dove quattro anni dopo nacque anche il suo più tradizionale rivale.
Le società di calcio di allora, nacquero e si svilupparono trainate dalla passione per questo sport e dal sostegno, morale ed economico, dei soci e dei dirigenti. Proprio come successe con centinaia di associazioni italiane. Proprio come avvenne nel 1858 con l’Associazione Italiana di Mutualità e Istruzione Unione e Benevolenza. Nel caso della "nonna" delle associazioni italiane, a unire i fondatori fu l’amore per la patria d’origine, la passione politica e la solidarietà che fu alla base della sua missione.
River Plate e AIMI furono famosi anche per i loro ricchi patrimoni. River è soprannominato "millonarios" e l’Unione e Benevolenza è storicamente nota anche per il suo invidiabile patrimonio di proprietà immobiliari.
Ma da anni River Plate non è più milionario o miliardario. Nell’ultimo decennio si è andando indebitando sempre di pìù, l’amministrazione del club (che, come l’AIMI, è un’associazione civile senza scopi di lucro) è stata portata in modo irresponsabile e, come dicevamo all’inizio, anche se in tanti annunciavano l’imminenza del crollo, la situazione non è cambiata.
Il presidente eletto due anni fa, quelli che lo hanno preceduto, i dirigenti di prima che hanno continuato a far parte del Direttivo, i rappresentanti e "amici" del Club che non sono stati capaci di guardare oltre ai loro personali interessi, sono oggi sotto accusa e coperti dal discredito.
Per fortuna non è il caso, almeno per adesso, dell’Unione e Benevolenza. All’AIMI però, negli ultimi anni si sono succedute varie contestate commissioni direttive, ha dovuto affrontare il peso di numerose decisioni sbagliate, tra le quali errori nell’affrontare una causa giudiziaria che, persa, l’ha portata a dover affrontare un indennizzo di oltre due milioni di dollari/pesos, che oggi è già stata cancellata, ma che ha provocato un grave danno alle sue finanze. Finanze che sono a rischio anche perché non entrano nuovi soci, quelli che ci sono non vogliono rinunciare al servizio di assistenza sanitaria a prezzi più che ridotti che tradizionalmente offre l’AIMI (che è un’associazione mutuale), la scuola che gestisce (Edmondo de Amicis) è deficitaria e alcuni gioielli immobiliari, come la sede di via Perón e ancora di più quella della Società Operai Italiani. Infatti, il palazzo di via Sarmiento, è un gioiello che, però, rischia di crollare. Secondo le autorità dell’AIMI, ci vogliono almeno due milioni per tenerlo in piedi e ancora di più per restaurarlo completamente. Non disponendo di quei soldi hanno deciso di metterlo in vendita, per poter far fronte agli altri onerosi impegni.
La domanda che si pone di fronte alla situazione che vive l’AIMI, ma anche altre nostre associazioni che hanno sedi pregiate per valore economico e storico, è cosa fare. Perché esse appartengono ai loro soci, sono frutto di sacrifici e impegni spesso mantenuti per oltre un secolo e, in definitiva, dipendono da essi. Ma d’altra parte, moralmente, storicamente, fanno parte del patrimonio della presenza italiana in Argentina, a volte sono espressioni della cultura italiana in questa terra. Inoltre molte volte si tratta di proprietà che si trovano in zone centralissime delle città argentine e quindi hanno un grande valore economico.
Una soluzione deve prendere in considerazione gli interessi dei soci, della collettività italiana, delle comunità locali (spesso si tratta di edifici di valore storico anche per le città dove hanno sede). E anche dell’Italia che dovrebbe impegnarsi – non con fondi, ma con sostegno politico e di esperti – perché non vadano perse le valiose testimonianze della presenza italiana in Argentina. River Plate e l’Unione e Benevolenza non si trovano nella stessa situazione, ma è meglio correre ai ripari e cominciare a riflettere sull’argomento, per evitare domani di dover lamentarci.
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