Con il collega Perduca ho rivolto oggi un’interrogazione al Ministro degli Affari Esteri, riguardo la vicenda dei connazionali Luigi Sartorio, Angelo Malavasi e Simone Pini, che si trovano in stato di fermo a Cuba dal 3 luglio 2010 nell’ambito delle indagini relative alla morte di una ragazza locale di dodici anni, avvenuta il 14 maggio nella città di Bayamo, nella provincia di Granma. I tre hanno dichiarato da subito la propria innocenza e, anzi, di trovarsi in Italia in quei giorni potendone fornire prove anche ufficiali.
Nello scorso mese di febbraio 2011 il sottosegretario agli esteri Alfredo Mantica, rispondendo ad un’interrogazione parlamentare, confortava sul fatto che la Farnesina stesse seguendo attentamente la vicenda e, in sinergia con la nostra Rappresentanza diplomatica a L’Avana, avrebbe continuato a fornire la massima assistenza ai nostri tre connazionali "monitorando gli sviluppi della vicenda e vigilando sul corretto svolgimento del procedimento giudiziario". Sono trascorsi ormai più di sei mesi da tale intervento e oltre un anno dall’inizio della detenzione a Cuba dei connazionali Malavasi, Pini e Sartorio, ma nulla è nel frattempo cambiato.
Il giornalista Gordiano Lupi, curatore della rubrica "Oblò cubano" sulla testata online Tellusfolio.it, riferisce di una visita effettuata dalla nota blogger cubana Joani Sánchez a Simone Pini nel carcere di ‘Combinado del Este’ (L’Avana). Inoltre, ricostruisce “Il caso degli italiani a Bayamo” riportando le denunce di comportamenti arbitrari che si sarebbero verificati nel corso delle indagini di polizia, fino a – gravi, ove dovessero trovare conferma – episodi di "tortura" e inumane condizioni di detenzione al fine di ottenere ‘confessioni’.
La stessa Yoani Sánchez diffonde la denuncia di Simone Pini, di manipolazione delle prove da parte della polizia, come G. Lupi riporta in un articolo del 10 luglio 2011. In una successiva comunicazione al giornalista del 17 luglio 2011, Sara Malavasi, sorella di Angelo Malavasi, confermando il quadro tutt’altro che tranquillizzante che emerge dai rapporti sopra citati, riferisce dell’inadeguatezza della difesa legale del proprio congiunto come degli altri due detenuti italiani (oltre un anno trascorso senza formalizzazione dell’accusa) e lamenta una scarsa assistenza e informazione da parte dell’Ambasciata. Pertanto chiediamo al ministro interrogato se le informazioni sopra riferite trovino riscontro in quelle della Rappresentanza diplomatica italiana a L’Avana; se tali vicende, anche per il protrarsi tanto lungamente, non configurino un problema umanitario di rilievo internazionale e che come tale debba venir affrontato con decisione dal Governo mediante l’assunzione delle più idonee iniziative.
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