Recentemente, il Segretario Generale del CGIE Michele Schiavone è tornato a parlare di Comites, auspicando una piena applicazione della normativa, oltre che un adeguato finanziamento e un fattivo accompagnamento da parte di ambasciate e consolati. E fin qui dice bene il Segretario Generale, anche se forse dopo 20 anni dalla legge 286/2003 è giunto il momento di spingerci un tantino oltre, mettendo alla luce i reali problemi dei Comites, problemi che passano attraverso una negativa impronta politica e personalistica che alcuni contesti locali hanno voluto dare e continuano a dare a questi organismi di rappresentanza.
In 20 anni abbiamo visto un numero crescente di quesiti giuridici e interpretativi aperti su problemi interni al funzionamento dei Comites. Troppi ‘buchi’ normativi a cui spesso si è messa una toppa di colore diverso ogni volta che è stato chiesto agli uffici preposti di offrire delle note di chiarimento. Così che tuttora un ipotetico e medesimo quesito per il Comites di Londra viene deciso in maniera opposta a quanto si applica a Pechino o a Buenos Aires, per poi arrivare a Roma ed essere stravolto del tutto, generando ancora maggiore incertezza.
Un chiaro problema, che sono sicuro il Segretario Generale avrà avuto modo di riconoscere nel suo lungo corso al CGIE, sta nelle persone che compongono i Comites. Dopo 20 anni di diatribe, questi organismi andrebbero riformati se non addirittura superati e resi pienamente “istituzionali” da un punto di vista formativo, etico e morale. Si pensi ad esempio all’eliminazione delle liste di elezione, ad inserire nella legge la possibilità di emettere provvedimenti per quanti al loro interno perseguono fini personalistici, ascese politiche, nonché un vero e proprio assalto e abuso al potere.
In alcuni contesti, la legge viene utilizzata non per migliorare le comunità all’estero, ma per farsi scudo delle proprie inadeguatezze o perpetrare abusi di potere, pur avendo ottenuto alle elezioni il voto di appena il 3% degli aventi diritto. E purtroppo questi atteggiamenti, a volte, sono avvenuti nella totale inerzia di una minoranza di ambasciatori e consoli.
Siamo tutti ben consapevoli di quanto è accaduto nei confronti della stampa italiana all’estero ed il mancato accesso ai contributi per enti che ne avrebbero avuto diritto. Attraverso pareri arbitrari, alcuni Comites in America Latina e in Australia si sono resi protagonisti di tristi episodi, che hanno leso la loro stessa credibilità istituzionale anche nei rapporti con il Governo.
L’opinione pubblica è al corrente dei casi di malagestione e i risvolti si vedono. Stenta ad affermarsi una pronta attenzione verso gli italiani all’estero in generale e verso i Comites in particolare… chiediamoci perché e che ruolo hanno svolto i Comites.
E pure, personalmente, credo fermamente che dietro l’inadeguatezza di pochi vi sia un esercito di onesti cittadini italiani, di oriundi residenti all’estero e di autorevoli servitori dello stato in forza nel corpo diplomatico-consolare che crede fermamente nei Comites, nel riuscire a dare agli italiani l’attenzione, i servizi, l’assistenza e la rappresentanza che meritano. A questi bisogna rivolgere lo sguardo e le forze, eliminando quanti anche con il supporto di qualche segreteria di partito, vedono nei Comites una finestra verso la politica, verso le onorificenze, per dominare e dividere le comunità all’estero e favorire accrescimenti personali e di particolari associazioni o enti, che sopravvivono da decenni grazie ai contributi pubblici e non sono disposti ad accettare né il pluralismo e né una sana concorrenza.
E qui torniamo al capitolo della formazione permanente dei componenti dei Comites, che secondo un chiarimento ministeriale sulla legge 286/2003 del 2016 sono qualificabili come pubblici ufficiali quando esprimono pareri obbligatori sui fondi agli enti gestori e l’editoria. La casistica dimostra che tra quanti avrebbero dovuto vigilare su questi “pubblici ufficiali” e far rispettare la legge vi sono finora stati troppi assenti se non addirittura consenzienti. Un sistema suscettibile all’incertezza, così che quanti vengono lesi ingiustamente dai Comites devono aspettare anni per una sentenza definitiva del tribunale amministrativo. Qualcuno preferisce non immischiarsi in quelle che diversamente vengono denominate “materie interne” ai Comites, locuzione che richiama ad un totalitarismo, in contrasto con i nostri valori democratici e repubblicani. E chi vigila, nessuno?
Quando i Comites non erano ancora elettivi, essi vennero definiti “una palla al piede di consoli e ambasciatori”. A maggior ragione di questi tempi di spoil system, consapevoli che la politica passa a pieno titolo attraverso la macchina amministrativa dello stato, i suoi funzionari e i suoi dirigenti… e anche dai Comites.
Avere dei Comites politicizzati non fa bene a nessuno, a partire dalle comunità degli italiani all’estero che si aspettano non gli slogan e le letterine di fine anno al Presidente della Repubblica per chiedere la riapertura dei termini per il riacquisto della cittadinanza, ma assistenza reale, supporto e onestà decisionale, morale ed intellettuale da parte della rappresentanza.
Nel 2020, alcuni chiesero che fossero organizzati dal Maeci dei corsi formativi obbligatori e frequenti per istruire i componenti dei Comites sull’importanza del loro ruolo istituzionale, sui limiti al loro potere e sulla corretta gestione della cosa pubblica. La proposta venne ignorata. Perché? Troppo costosa? Un console in piena emergenza pandemica avrebbe speso circa 13,000 dollari per ingaggiare uno studio legale per una questione legata alla salvaguardia della propria immunità diplomatica. Cosa sia successo, dai resoconti pubblicati dal Maeci non risulta, ma se quei 13,000 dollari fossero stati spesi per risorse di formazione, avrebbero potuto migliorare la qualità dei Comites e della rappresentanza.
Forse, Segretario Generale, varrebbe la pena insistere e investire sulle persone, adoperarsi per ripristinare quei valori morali che mettono l’interesse collettivo e meritocratico prima di quello privatistico o degli amici, estirpare elementi che perseguono fini politici e personalistici. Se lo avessimo fatto prima, se avessimo agito prima nel campo della formazione, nella scelta di individui adatti a ricoprire il ruolo di rappresentanti per i loro meriti e il loro impegno, fuori dalle logiche delle amicizie e dal colore politico, oggi forse avremmo dei Comites più autorevoli, più preparati e capaci di dialogare apertamente a testa alta.