Miami, punto e a capo. Tre mesi sicuramente sono pochi, ma il lavoro del dottor Adolfo Barattolo si può già toccare con mano. C’è un’aria nuova in Ponce de Leon, sede del Consolato Generale d’Italia a Miami, teatro negli anni scorsi di storie spiacevoli ed imbarazzanti. L’ha portata con tutta la sua capacità, esperienza ed entusiasmo il nuovo Console Generale che dal primo novembre è alla guida della rappresentanza diplomatica italiana di Miami che ha sotto di sè cinque stati americani (Florida, Alabama, Georgia, South Carolina e Mississippi) con Porto Rico, British Virgin Islands, Cayman Islands, Turks&Caicos, St. Marteen, St. Eustatius e le Bahamas. Il dottor Barattolo ci ha accolto nel suo ufficio, ci ha raccontato cosa vuol dire Italia in questo angolo d’America, ma soprattutto ci ha ‘svelato’ le strade per ribadire ed incrementare quel prestigio che è mancato negli ultimi anni.
Stop quindi alle frequentazioni imbarazzanti, ai pregiudicati presenti nelle istituzioni italiane, alle manifestazioni inutili, alle serate conviviali con personaggi equivoci. Nuovo corso, perchè – ci ha tenuto a ribadire – l’Italia non è solo motori e moda, ma cultura ed economia: binomio imprescindibile con una spinta fondamentale che può arrivare soltanto dall’insegnamento della nostra lingua nelle scuole.
Come è stato il suo impatto con Miami?
«Tra Losanna e qui ho trovato un tipo di lavoro consolare sostanzialmente diverso rispetto all’attività svolta nei quattro anni precedenti. Intanto in un paese europeo le problematiche sono differenti rispetto all’America, e al Nord America in particolare, e poi in Svizzera c’è una comunità italiana enorme, in quattro cantoni, diversi organismi elettivi locali, quattro parlamentari eletti all’estero, 3000 studenti nei corsi di italiano, tutto legato alla presenza italiana storica in Europa, pur in un Paese che non fa parte della comunità europea. Qui c’è un rapporto diverso. Ma ho già avuto una esperienza del genere: sono stato Console presso il Consolato Generale di New York. Situazione differente perchè la maggioranza degli italiani emigrati negli Stati Uniti si sono concentrati nella parte Est, fino a Philadelphia. Il Sud degli Stati Uniti è stato meno frequentato dagli italiani, ci sono arrivati più di recente. In pratica abbiamo una comunità italiana per molti aspetti differente da quella del Nord Est degli USA».
Come siamo visti noi italiani?
«Qui la presenza di italoamericani, che pur è molto forte, parliamo di un milione e mezzo di persone, non è paragonabile a quella che si può incontrare a New York. Per fare un esempio che può dare una idea della situazione, solo su New York avevamo 600 organizzazioni italo-americane. Qui mi sono trovato di fronte a una situazione positiva, ma molto diversa, perchè c’è una comunità italiana affermata, ben radicata. Molti imprenditori, tante attività commerciali, nella ristorazione, poi moda e arredamento, tutti settori che danno grande visibilità all’Italia, un po’ le punte di diamante dell’eccellenza italiana nel mondo e credo che la percezione locale degli italiani sia positiva. Oltre a ciò qui, parliamo in particolare di Miami, c’è un forte afflusso di turisti, di medio e alto livello, che portano ricchezza e dai miei contatti con le autorità locali, i sindaci di Coral Gables, di Miami, di Miami Beach si vede che c’è un forte interesse a sviluppare ulteriormente i rapporti con l’Italia».
Dove si possono sviluppare questi rapporti?
«In primis quelli culturali, poi commerciali, che sono legati e poi anche i rapporti ‘linguistici’. Qui ho trovato una situazione, e parliamo della nostra lingua, molto favorevole rispetto anche e soprattutto al Nord America dove il nostro impegno a sviluppare l’insegnamento della lingua e l’approfondimento della cultura italiana è forte, ma che si deve inserire in un contesto di educazione specifica. Qui invece ho visto che la lingua italiana è ben vista, come terza o quarta lingua e ha un ‘appeal’ particolarmente interessante perchè è una lingua ‘latina’, soprattutto a Miami dove c’è una realtà ‘ispanofona’ molto forte. Quindi si può dire che in prospettiva si può pensare che l’italiano possa ambire a diventare, se non una lingua veicolare, almeno una lingua di riferimento per la Florida, almeno quella del Sud. E le testimonianze di questo non sono tanto le mie parole, ma il fatto che in prestigiose scuole pubbliche americane di Miami, come la Coral Gable High Scool, la ISPA di recente istituzione e poi la charter school di ‘Calle Ocho’ ci sono corsi, anzi sezioni di italiano, totalmente integrati e fanno parte degli ‘International Studies Programs’. E oltretutto in gran parte il finanziamento arriva dagli stessi americani, noi diamo un sostegno nei limiti delle nostre capacità di bilancio che sicuramente sono limitate e si stanno riducendo per i motivi che conosciamo».
Ma qui sono più gli italiani che arrivano o quelli che se ne vanno?
"Da quello che posso vedere più che dire se c’è un calo o una crescita, direi che è esponenzialmente in aumento l’interesse degli italiani nei confronti delle opportunità economiche che la Florida, soprattutto al Sud e Miami in particolare possono offrire. Ogni giorno vedo le richieste provenienti dall’Italia o di italiani che si sono installati anche solo momentaneamente qui a Miami, indirizzate a verificare potenzialità di investimento, di sviluppo economico, di installazione di attività di vario tipo. Una delle principali attività del Consolato è quella di cercare di agevolare queste richieste, assieme alla Camera di Commercio Italiana per il Sud-Est degli Stati Uniti e alle strutture americane locali che ci danno una grossa mano come l’ente di promozione della Contea di Miami-Dade per potenziare la presenza italiana. Io credo che a Miami ci sia ‘italianità’ e che stia crescendo e che ci siano prospettive di sviluppo importanti».
Come approfittarne?
«Certo si potrebbe fare molto di più, ma occorre, secondo me, investire, non solo a livello istituzionale, ma occorre anche che l’imprenditoria italiana di alto, medio, ma anche piccolo livello, non solo venga qui per creare opportunità di vendita di prodotti, ma per avviare soprattutto opportunità di investimento che creino una continuità. Questo è importante e quello che ho notato negli americani e negli amici della Florida è stata la richiesta di una presenza italiana crescente, ma che sia una presenza radicata, che sia una presenza che investa nel territorio, a tutti i livelli e che crei occupazione. Le autorità locali ci dicono che sono più che disponibili a concedere, nei limiti delle capacità, crediti, agevolazioni, legislazioni favorevoli a una società italiana, ma anche di altre nazioni ovviamente, se si viene e si investe in maniera duratura nel Paese».
Ma non c’è solo Miami…
«Le autorità locali sono più che disponibili ad aiutare. Certo l’immaginario collettivo dall’Italia è Miami, ma la Florida non è solo qui e ovviamente in quelle zone dove c’è minore interesse o conoscenza ci possono essere maggiori incentivi, per esempio nel Nord della Florida esistono realtà, municipalità, porti eccetera che sono disponibili a dare maggiori sovvenzioni. Faccio un esempio: la Meditteranean Shipping Company, che certo è una multinazionale, ma con una grossa presenza finanziaria e gestionale italiana, ha da tempo instaurato una propria base logistica a Charleston, nella Carolina del Sud, questo perchè, a parte un interesse specifico, ma anche perchè le autorità locali hanno dato incentivi. E uno dei direttori è italiano, non a caso un nostro console onorario».
Quindi si può battere la crisi…
«È nata qui per poi essere esportata in Europa, anche se adesso si può dire che la situazione si è capovolta. Qui, e torno a parlare della Florida, le ferite della crisi sono ancora aperte: c’è uno dei tassi di disoccupazioni più elevati del Paese, oltre ai problemi di ‘foreclosure’, ma questa è, in generale, ancora la nazione delle opportunità per l’Europa e l’Italia in particolare, quindi cerchiamo di fare del nostro meglio per cavalcare questa situazione, che indubbiamente è favorevole».
Qual è l’impegno del suo Consolato?
«Il territorio sotto la giurisdizione del Consolato di Miami è vasto, ma uno dei nostri ruoli principali è quella della promozione commerciale e culturale, che sono le immagini che vanno di pari passo con il sistema Italia. Quando si sostiene una mostra, una esposizione, poi ci sono anche ripercussioni nell’ambito commerciale e imprenditoriale. Noi siamo pronti ad agevolare e siamo un punto di riferimento per diverse società che vengono a Miami e che sentono la necessità di contattarci per ottenere indicazioni, suggerimenti, contatti con operatori locali. In questo dobbiamo, e vogliamo, lavorare in maniera sinergica con la Camera di Commercio, perchè siamo due istituzioni che hanno lo stesso obiettivo oltre a lavorare con le associazioni locali di categoria».
Già ottenuti dei risultati?
«Pochi giorni fa è stato stipulato l’accordo tra il porto di Livorno e quello di Miami che potrebbe portare a sviluppi importanti e anche alla partecipazione di ditte che lavorano nel comparto dalla crocieristica, attrezzature cantieristiche, con i porti della Florida. Certo che poi sta alla società italiana che vuole installarsi trovare le modalità di investimento, la qualità del prodotto da offrire e quindi crearsi una mercato e una credibilità. Gli americani sono più che disponibili a lavorare con l’Europa e con l’Italia in particolare, ma chiedono e pretendono, e mi sembra più che giusto, credibilità».
Quali ripercussioni ci sono state dopo la tragedia del Giglio?
«Dal momento che la Carnival ha sede a Miami e la Costa Crociere è una delle tre più importanti consociate ci sono stati anche qui dei riflessi importanti. Quello che è successo al largo del Giglio è una ferita per l’Italia, per il Mediterraneo, con ripercussioni sul mercato crocieristico nei nostri mari. Diversa è la sensazione qui, da quello che ho potuto capire dai contatti che avuti con i dirigenti qui a Miami, ecco senza dimenticare tutto quello che è successo, a cominciare dalle vittime, e tenendo presente che l’immagine della tragedia è ancora lì davanti al porto del Giglio, l’impatto sul bilancio della Carnival sarà sì notevole, ma non come lo si può immaginare dall’Europa. Da qui lo si vede come un problema, serio, importante che ha causato la perdita di vite umane, che lascerà il segno nella storia della crocieristica, ma che si può superare. Certo nel Mediterraneo e in Italia in particolare tutto ciò è sentito in maniera diversa».
La crisi italiana come si ripercuoterà sul Consolato?
«La situazione in Italia è di reindirizzamento dell’economia, c’è la sensazione che il passo intrapreso, e non lo dico io, sia quello giusto per il risanamento e nel medio termine porterà l’Italia a uscire da questo tunnel. È evidente che riducendo le spese, gli sprechi e in alcuni casi aumentando le tasse, si riduce la capacità d’acquisto della gente e questo porta verso la recessione, è evidente, ecco perchè il governo Monti sta cercando in parallelo di trovare delle misure di stimolo per superare questa fase. Quando si taglia, lo si fa spesso sul pubblico e il consolato è una struttura pubblica e i finanziamenti che sono incanalati verso la rete estera avranno delle decurtazioni, questo è inevitabile e vedremo in che misura. Sono convinto che i tagli saranno selettivi e incideranno sicuramente sul funzionamento, ma che sicuramente non creeranno problemi ‘reali’. Ci sono economie che vanno fatte, come succede in famiglia quando c’è un problema. Qui siamo una quindicina di persone, la metà dipendenti locali, l’altra metà sono dipendenti che vengono da Roma, una forza lavoro da quello che ho potuto vedere efficace. Perché non sembra, ma gli incarichi sono tanti, qui la circoscrizione è molto vasta e la richiesta di assistenza commerciale, turistica solo per nominarne un paio, sono sempre crescenti, si cerca di fare fronte a tutto e mi sembra che alla fine il lavoro svolto venga apprezzato, anche se non sono io che devo dirlo. Senza dimenticare poi che ci sono molte pratiche che riguardano la naturalizzazione, per via di matrimonio e di coloro che vogliono recuperare la cittadinanza italiana. Ci sono procedure e tempi di attesa, ma questi ultimi non possono certo essere paragonati ad altre realtà consolari, dove c’è una maggiore pressione»
Miami non ha il Comites, lo riavrà?
«La struttura c’è, mancano i componenti che si sono dimessi. Ma entro il 2012 dovrebbe esserci il rinnovo di tutti i Comites, se si arriverà a questo appuntamento, sarà anche per Miami».
Si è posto un obiettivo al suo arrivo in Florida?
«Non ce n’è uno solo, sono tanti. Dal miglioramento dei servizi pubblici, malgrado i tagli che ci saranno, a una maggiore visibilità cominciando dalla pagina web del consolato, alla crescita del nome Italia. E questo credo che si possa fare puntando forte sulla promozione della nostra lingua, è un investimento sul futuro. Ma da sola non basta, cultura-economia è il binomio vincente».
Discussione su questo articolo