"È stata liberata, dopo quasi un mese di prigionia – era stata sequestrata mercoledì 9 maggio – la connazionale Gina Silvana Bortolotti. Come si ricorderà, la Bortolotti fu sequestrata da alcuni malviventi armati di Ak47 – lo ha ammesso il Commissario della Cicpc- Zulia, Jesús Carías -, a pochi metri del negozio famigliare, “Autorepuestos Bonino”, nel quartiere Belloso di Maracaibo". A dare la bella notizia è stata ieri "La voce d’Italia", quotidiano diretto a Caracas da Mauro Bafile.
"La Bortolotti era appena entrata in macchina e l’auto aveva percorso nemmeno un centinaio di metri quando veniva urtata da un veicolo che l’obbligava a frenare. Immediatamente i malviventi, che avevano atteso fuori dal negozio l’uscita della donna, costringevano la vittima a seguirli. Tutto è accaduto davanti agli occhi della madre della Bortolotti, che era all’ingresso del negozio e salutava la figlia con un gesto della mano. L’urto del veicolo contro l’auto della Bortolotti richiamava l’attenzione e la curiosità di passanti, vicini e clienti dei negozi ma i delinquenti dissuadevano i presenti ad intervenire con una raffica all’aria di Ak47.
Stando alle autorità di polizia non è stato pagato alcun riscatto. La connazionale – madre di due figli di 12 e 14 anni – sarebbe stata liberata dai delinquenti, spaventati dalla presenza della polizia che, dopo l’arresto di uno dei presunti sequestratori (si tratta di Angelis José Cano Áñez, che presumibilmente realizzava le telefonate di estorsione e di minaccia alla famiglia Bortolotti) ha eseguito numerose perquisizioni.
Una liberazione condizionata da una minaccia ben precisa: "Ci siamo informati sulla tua famiglia. Ti liberiamo ma devi pagare".
Prima di lasciare libera la loro vittima, i sequestratori le avrebbero infatti spiegato che era stata "mal pichada", ossia che le informazioni sulla sua situazione economica si erano rivelate sbagliate. Lo avrebbero capito grazie alle collette realizzate a Maracaibo da amici e parenti – per raccogliere i soldi destinati all’ipotetico pagamento del riscatto – e alla copertura data dalla stampa. La famiglia Bortolotti aveva infatti ripetuto a più riprese di non essere in grado di pagare riscatti.
"Mi hanno detto che per loro era un lavoro – ha spiegato la connazionale – che lavoravano per una organizzazione e che quindi avrei dovuto pagare".
Gli aguzzini non hanno mai maltrattato fisicamente la donna, sostenendo che “loro erano sequestratori, non ladri o stupratori”. Non l’hanno lasciata mai fumare per evitare crisi asmatiche – di cui soffriva – e le avrebbero somministrato le medicine per i suoi dolori di stomaco.
Odalis Caldera, “segretaria di Sicurezza e Ordine Pubblico di Maracaibo”, ha manifestato preoccupazione per l’impiego di “armi da guerra” nel sequestro della Bortolotti mentre il Commissario Jesús Carías ha assicurato che la scientifica è sulle tracce dei malviventi e che si indaga sulla provenienza delle armi. Non si scarta nessuna pista.
Ventuno giorni di agonia
Gina Bortolotti è tornata a casa dopo una prigionia durata quasi un mese… un’eternità per chi, rinchiusa in una stanza con aria condizionata e sempre vigilata a vista, è stata permanentemente minacciata di morte: una tortura psicologica che lascia una ferita profonda.
Di nuovo nel calore della famiglia, circondata dall’affetto dei suoi, Gina Silvana racconta ai giornalisti il suo calvario. Lo fa con la voce a volte rotta dall’emozione e gli occhi lucidi per la felicità. Il volto scolpito dalla stanchezza e dalla tensione.
– Quando sono stata sequestrata – ha detto Bortolotti – ero molto spaventata. Ero stata prelevata alla forza, costretta a stare con la testa tra le ginocchia. Non ho mai potuto vedere il volto dei delinquenti. Hanno cercato di tranquillizzarmi dicendomi che mi avrebbero solo fatto alcune domande. Poi, dopo circa un’ora di viaggio, giunti al luogo della mia prigionia mi hanno detto che si trattava di un sequestro. Se la famiglia non pagava mi avrebbero uccisa.
Nelle mani dei malviventi, Bortolotti è stata costantemente minacciata di morte. La fede e il desiderio di riabbracciare i suoi figli e i suoi cari, però, l’hanno fatta resistere.
– Sono stata tenuta prigioniera de cinque o sei persone – prosegue nel suo racconto la connazionale -. C’erano alcune donne che stavano sempre nella stanza con me, anche se non mi parlavano mai, fuori alcuni uomini restavano di guardia. Mi è parso che tra i sequestratori vi fossero dei colombiani per il loro accento nel parlare. Purtroppo, non potrei riconoscerli. Sono sempre stati col volto coperto. Mi dicevano che non sarei tornata a casa, che la mia famiglia non mi voleva bene. Pensavo che ni qualsiasi momento avrebbero potuto picchiarmi… sono stati momenti molto forti.
Alimentata tre volte al giorno, a volte con riso, altre con pasta, altre con riso e pollo, Bortolotti, spaventata e depressa, sovente avrebbe voluto rifiutare il cibo. Ma i malviventi l’obbligavano a mangiare dicendogli che “non poteva ammalarsi”.
– Anche quando mi facevo la doccia ero vigilata a vista… sempre – afferma la connazionale -. In due occasioni sono stata obbligata a salire in macchina. Non ho mai visto dove mi portavano. Si stava in auto 45 minuti, forse un’ora. Forse si tornava allo stesso luogo, non saprei… Non potrei dirlo. Un giorno, però, ho notato che c’era molto nervosismo. Improvvisamente mi è stato detto che sarei stata liberata. Fatta salire in auto bendata, sono stata abbandonata in strada con la raccomandazione di togliermi la benda agli occhi dopo qualche minuto.
Bortolotti, ormai libera, riconosce il quartiere nel quale era stata abbandonata. Così, raggiunge a piedi la casa dei nonni materni. Un momento indimenticabile, ma mai come quello in cui ha riabbracciato i figlioli.
– Oggi, dopo aver vissuto questa drammatica esperienza – ha detto la connazionale ai giornalisti -, posso dire alle famiglie dei sequestrati: non abbiate timore nel denunciare il fatto alla polizia. Il sequestro è una violenza psicologica che lascia una ferita profonda… ma il trauma con il tempo si può superare.
Gina Bortolotti ha ringraziato la stampa per la costante pressione esercitata e le forze dell’ordine – la Guardia Nacional, il Cicpc, la sezione Oaves del Cicpc – per aver lavorato senza sosta. Un grazie è stato riservato anche all’Ambasciata Italiana, nella persona dell’Esperto Antisequestro, che ha dato appoggio alla famiglia Bortolotti sin dai primi giorni. La connazionale ha infine espresso dolore per il destino dei coniugi italiani Di Pietro, sequestrati e uccisi a Maracaibo durante la sua prigionia".
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