Roma – Il partito repubblicano in Italia come Forza Italia nel mondo. Silvio Berlusconi ha ideato un nuovo progetto per la coalizione di centrodestra e, nelle stesse ore in cui comincia a trapelare il logo, si tenta ancora di capire quale sarà la reale incisività elettorale dell’ultima creatura berlusconiana.
I meno convinti sembrano proprio i suoi uomini anche se in realtà, dal fronte estero, un’idea simile era stata già lanciata dal senatore Vittorio Pessina, il coordinatore di Forza Italia nel mondo in procinto di incontrare i sostenitori del partito a New York, a poche settimane dai non incoraggianti risultati dei comitati per gli italiani all’estero.
Si sono concluse da pochi giorni le elezioni dei Comites, un appuntamento che lei aveva definito strategico, dichiarando a ItaliaChiamaItalia di voler attendere questo rinnovo per organizzare Forza Italia all’estero. A breve, quindi, saranno definiti i nomi dei nuovi dirigenti, e futuri candidati, del partito?
Sì, aspettavo i risultati delle elezioni per il rinnovo dei Comites per decidere come orientarmi in relazione al partito all’estero, soprattutto sul piano dell’organizzazione della struttura. Ora il quadro appare in parte più definito anche se è giusto ammettere che, per quanto riguarda il Nord America, il rinnovo dei Comites non ha restituito risultati molto significativi. Ad ogni modo, tutto serve per chiarire il panorama generale sul quale, poi, poter andare a operare e influire con i nostri rappresentanti.
In che modo questi risultati, che lei stesso definisce “non significativi”, influiranno sulla scelta dei futuri candidati per Forza Italia all’estero?
Tutto serve per avere un orizzonte più amplio sul quale operare e prendere decisioni. Il fatto che, poi, i candidati vengano dai Comites, che siano manager affermati o che, infine, provengano dall’imprenditoria italiana all’estero rappresenta una scelta e una riflessione successiva, che andrà fatta sicuramente ma nei tempi opportuni. Inoltre, è giusto sottolineare che la scelta dei candidati per le prossime elezioni politiche dovrà essere valutata tenendo in considerazione anche i pareri dei responsabili di partito e di coloro che rappresentano le altre forze politiche assimilabili a noi per valori e cultura, come il Maie e il Ctim.
È in partenza per gli Stati Uniti. Ha già in calendario degli incontri con i rappresentanti della comunità italiana locale?
Sì, ho in programma delle riunioni a New York con i sostenitori del partito, sia quelli operativi nel passato che quelli da me individuati negli ultimi mesi, durante le trasferte di dicembre. Con questo mio viaggio, quindi, vorrei concludere alcuni di quegli incontri avviati a fine 2014 e fare il punto della situazione.
Qual è l’obiettivo di queste riunioni?
Gli incontri che terrò a New York si pongono nella linea strategica con la quale sto cercando di rifondare il partito all’estero, unendo il valore di coloro che, per tanti anni, hanno rappresentato Forza Italia negli States a questa nuova categoria di emigrati rampanti, come amo definirli, che hanno registrato grossi successi imprenditoriali o manageriali. Sto inserendo questi ultimi nella nuova struttura del partito che, a mio avviso, deve essere basata proprio sull’apporto utile e fondamentale di questi nuovi italiani eccellenti. L’obiettivo del mio viaggio è proprio quello di tenere ulteriori incontri proprio per portare avanti un progetto di innovazione e rinnovamento completo della rappresentanza del partito in Nord America.
A proposito di rinnovamento anche lei, come Berlusconi, è pronto a passare al partito repubblicano o della Repubblica?
Direi partito repubblicano vero è proprio, perché è figlio dell’esperienza americana. Si dovrà comunque scegliere un contenitore nel quale fare confluire tutte le diverse anime e sigle politiche utili a poter ottenere un risultato positivo e a formare uno schieramento di centrodestra, in alternativa al Pd di Renzi.
Ma, al di là della necessità di creare uno schieramento, crede che il partito repubblicano sia la scelta giusta?
Diciamo che, in questo caso, potrebbe rappresentare un brand riconoscibile, con una sua storia e delle sue regole molto ben definite e sperimentate. Sotto questo profilo, teoricamente, dovrebbe essere una buona soluzione.
Non sembra molto convinto.
No, non sono molto convinto perché conosco i sentimenti della politica italiana che, di solito, è molto più orientata a spinte separatiste piuttosto che di unione. Il problema non è l’idea in sé, ma chi dovrebbe poi partecipare a questo schieramento. Il mio concetto è semplice: il partito Repubblica è una buona soluzione anche perché non so quali altre denominazioni si sarebbero potute utilizzare. Avendo a disposizione questa esperienza e la strutturazione americana, può essere una buona idea provare a farle fruttare.
Il partito repubblicano di Berlusconi in Italia non coincide, in realtà, con quello che lei vorrebbe fare all’estero?
Assolutamente sì, anche se, per me, ovviamente non funziona il concetto del partito repubblicano all’americana. Nel mio caso bisognerà semplicemente individuare una sigla che possa andar bene a tutte le diverse anime e, questo, va prima definito con i futuri candidati.
Per quale motivo il modello americano non sarebbe applicabile all’estero?
Non è praticabile perché c’è un processo di formazione delle candidature che è assolutamente irrealizzabile e che, già di per sé, esclude l’applicabilità di questo sistema all’estero. C’è una frammentazione talmente elevata all’estero che è impossibile, ad esempio, anche solo fare delle primarie.
Quindi Forza Italia non avrà mai delle primarie all’estero?
No, non penso siano fattibili delle primarie all’estero per il centrodestra. Non mi sono mai soffermato su questa ipotesi ma, al momento, non mi sembra realizzabile a causa della frammentazione italiana nel mondo.
Nel frattempo, il partito dell’ex cavaliere naufraga alle amministrative. Il flop del quattro per cento in Trentino è il segnale del capolinea?
No, è la conseguenza del periodo di grande confusione nel partito. Poi se ci aggiungiamo che, probabilmente, la scelta dei candidati non è stata adatta, il risultato non poteva che essere questo, soprattutto a fronte di un partito sulla cresta dell’onda come il Pd, che ha dimostrato di essere ben strutturato sul piano organizzativo e territoriale. Era inevitabile che accadesse tutto questo e si verificasse il confluire dei voti che erano destinati a Forza Italia verso altre formazioni politiche che, in questo momento, appaiono più strutturate.
Come pensate di recuperare?
Si può rimediare solo con la speranza che, dopo le regionali del 31 maggio, si dia vita a una profonda riflessione nell’area del centrodestra e si arrivi a trovare soluzioni che possano rappresentare un rilancio non solo del partito ma, soprattutto, dell’intera coalizione.
Non ha semplicemente ragione Fitto, quando dice che le amministrative sono state la dimostrazione che “il modello Cav è superato”?
Dire che non abbia ragione è impossibile, la successione dei fatti non fa altro che dargli ragione. Bisogna anche dire che questo suo atteggiamento è stato gestito in maniera non corretta, la sua fase critica nei confronti del partito poteva e doveva essere più costruttiva.
A Fitto fa comodo la situazione di crisi nel partito, perché dovrebbe essere più costruttivo?
Sì, di fatto gli fa comodo. Oltretutto è una situazione che gli ha dato grande visibilità che, altrimenti, non avrebbe avuto in nessun altro modo. Nel suo caso assistiamo a una visibilità per demerito altrui, invece che per merito proprio.
Lui ha già, dalla sua, trenta parlamentari. Non pensate che potrebbero seguirlo anche altri colleghi di Forza Italia e creare, così, un’ulteriore spaccatura interna soprattutto nei momenti del voto in aula?
Non sono in grado di valutarlo, posso dire che Fitto è circoscritto in un contesto territoriale che, probabilmente, non gli consentirà di avere un’espansione a livello nazionale. Con suoi atteggiamenti, forse, potrà avere qualche seguito tra i parlamentari a lui vicini ma, di lì ad andare oltre, non lo credo possibile.
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