Il console italiano, insieme con quelli inglese, spagnolo e tedesco; la sala conferenze al 26esimo piano di un grattacielo di San Francisco; sul tavolo, il futuro dell’Europa e i rapporti del vecchio continente con l’America di Obama. Il tutto condito da un pubblico vario, preparato e soprattutto attento a conoscere le sfide che l’Unione Europea dovrà cogliere per rilanciarsi come protagonista della scena internazionale e per rilanciare l’economia dei suoi stati membri. Sono stati questi gli ingredienti principali della serata organizzata il 5 febbraio dall’associazione Business Association Italy America (BAIA) di San Francisco, che ha visto i quattro rappresentanti europei confrontarsi su temi delicati come la ripresa economica, i rapporti dei paesi dell’Unione con gli Stati Uniti e il cambiamento climatico.
A rappresentare l’Italia, il console Mauro Battocchi, da poco insediatosi nella Bay Area, mentre unica donna a parlare la lingua della diplomazia l’inglese Priya Guha, a San Francisco dal 2011. Gli altri due consoli, quello di Spagna, Jorge Montealegre, e quello di Germania, Peter Rothen, sono invece sbarcati in America rispettivamente nel 2010 e nel 2009. Un dibattito durato poco più di un’ora, ma in grado non solo di toccare temi cari agli europei ma anche di cogliere l’interesse di imprenditori, studiosi e professionisti della Silicon Valley.
L’evento, lanciato dallo slogan “Europe and the US: The next four year”, ha visto l’ex anchor woman della CBS Dana King incalzare i protagonisti su argomenti come la crisi economica, i guai causati dal riscaldamento globale e le incertezze di un’Europa che non riesce ancora a concepirsi come soggetto politico unico.
Il dibattito ha convogliato le opinioni dei diplomatici verso un pensiero comune, ovvero quello secondo cui la situazione in Europa sta migliorando per la prima volta dall’inizio della crisi e questo non può che favorire rapporti più stretti con l’America di Obama. Una convergenza nata dalla consapevolezza che la Cina e l’Asia guidano il mercato mondiale e sono ora gli interlocutori principali degli americani. Ma questo nulla toglie all’attenzione che gli Stati Uniti riservano all’Europa. L’Asia, vista in prospettiva, non può essere considerata un pericolo, ma una risorsa complementare alle relazioni transatlantiche.
Più controversa la questione dei diritti dei lavoratori. Come Dana King ha ricordato, si può davvero pensare di competere con paesi a basso costo del lavoro senza rischiare di abbassare i propri standard? Una provocazione a cui le quattro voci della diplomazia hanno risposto in chiave positiva: in realtà, ha sottolineato Mauro Battocchi, i paesi emergenti si stanno adeguando agli standard occidentali e il rischio di passi indietro non esiste, al contrario il sistema sta convergendo verso misure uguali per tutti. Stessa lettura è stata data dal console tedesco che ha sottolineato come, alla scomparsa di alcuni settori di produzione nei paesi europei, si sia associata la capacità di produrre altri tipi di beni. Insomma, in Europa non si producono sicuramente più vestiti, ma gli europei hanno dimostrato di saper fare anche altro.
Un velo di incertezza rimane ancora attorno alla ripresa economica, che vede Italia e Spagna in difficoltà sul fronte occupazione, mentre messaggi ancora non tanto chiari arrivano dal fronte inglese. Nonostante, infatti, il primo ministro Cameron abbia affermato pochi giorni fa la volontà di rimanere in Europa, c’è all’orizzonte la proposta di riforma dell’Unione, in nome della competitività, attraverso strutture comunitarie meno sclerotiche, meno burocrazia, meno spese e con poteri da riportare in mano ai parlamenti nazionali.
Il tema della cooperazione politica tra i paesi membri ha ancora una volta sfiorato la questione del sistema più adatto a far crescere l’Europa come soggetto politico e non solo economico.
Qualche lezione da imparare dal sistema federale americano? In un contesto in cui ventisette paesi partecipano in forma diversa diventa difficile pensare all’adozione di un sistema made in USA. Come ha confessato il console tedesco, l’idea degli Stati Uniti d’Europa è stata portata avanti dalla Germania per anni, ma senza successo. E nonostante in molti a Berlino ancora ci credano, la realtà è che, se è rimasta finora solo un’ipotesi, sarà ancora più difficile realizzarla in futuro.
La prospettiva di un’Europa in ripresa sembra da qui realistica. Secondo alcuni studi pubblicati dall’agenzia Reuters, cresce l’ottimismo nel mondo del business. Ci sono segnali di rilancio delle piccole e medie imprese europee, cresciute negli ultimi dieci mesi più di quanto ci si aspettasse. La disoccupazione rimane ancora la piaga da sanare, con il record dell’11.7% a dicembre, mentre l’inflazione è scesa del 2% a gennaio.
Segnali contrastanti che probabilmente proiettano il vecchio continente verso un 2013 ancora di transizione. Per molti, l’Europa dovrebbe lasciare agli stati nazionali la soluzione della crisi, mentre gli europeisti vorrebbero Bruxelles più attiva. L’America resta a guardare mentre aumentano i proclami di maggiore collaborazione con il vecchio continente. Un impegno che rispecchia la filosofia kennediana del “chiediamoci cosa noi possiamo fare per l’Europa e non cosa l’Europa possa fare per noi”. Una lezione di politica economica che in Europa nessuno sembra ancora abbia avuto modo di studiare.
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