Premessa: l’ultima legge sui Comites tuttora vigente è la n. 286 del 2003 e quindi antecedente le penultime elezioni per il rinnovo di questi organismi che avvenne nel 2004. Una legislatura che, peraltro, di rinvio in rinvio delle elezioni, è durata incredibilmente ben undici anni invece dei cinque previsti e cioè sino allo scorso 17 aprile quando questi organismi vennero finalmente rinnovati. Già dopo le elezioni del 2004, organizzazioni e singole persone riconducibili essenzialmente al centrodestra sollevarono delle proteste ritenendo illegittima l’elezione e la presenza in alcuni Comites di rappresentanti dei patronati. Ne scaturì un parere dell’Ufficio legale del MAE, richiesto dall’allora Direzione generale degli italiani all’estero (DGIT), che prospettò l’ipotesi dell’ineleggibilità dei rappresentanti dei patronati, ipotesi tuttavia criticata e contestata dall’on. Franco Danieli che ricordò in una sua interrogazione parlamentare come, nel corso dell’elaborazione del disegno di legge sui Comites approvata poi nel 2003, sia nel Cgie che in parlamento si era escluso categoricamente che tra i casi di ineleggibilità fossero inclusi i rappresentanti dei patronati.
In ogni caso il succitato parere legale del MAE e lo stesso Danieli arrivarono infine alla conclusione che la legge 286 del 2003 demandava esclusivamente agli stessi Comites la competenza di deliberare in merito all’ineleggibilità di un suo membro. Dopo alcuni mesi cessò ogni polemica e nessun membro eletto nei Comites, che fosse un operatore di patronato (compreso lo scrivente), venne dichiarato ineleggibile.
A QUALCUNO PIACE RISCALDATA Come ricordato, dopo undici anni, lo scorso 17 aprile si sono rinnovati i Comites e subito alcuni neofiti del mondo dell’emigrazione si sono scatenati rimenando il vecchio ritornello sull’ineleggibilità dei rappresentanti dei patronati arrivando, in un caso, a presentare perfino una denuncia al TAR del Lazio (tuttora pendente). La stessa DGIT del MAECI ha ritenuto opportuno diffondere un nuovo parere interpretativo della legge sui Comites richiesto al servizio giuridico del Ministero che, praticamente, ricalca il parere già espresso nel 2004. Ovvero una minestra riscaldata.
FRANCHISING Tra l’altro in questa diatriba sui patronati sfugge un aspetto determinante che la nota vicenda elvetica Inca-Giacchetta ha evidenziato e che avrebbe dovuto far riflettere tutti i principali attori di questa polemica e, soprattutto, gli estensori di quest’ultimo parere del MAECI. Cioè che ormai, all’estero, quantomeno le principali sigle, i patronati italiani non operano più direttamente bensì attraverso associazioni locali con le quali hanno stipulato delle convenzioni di collaborazione. Per cui questi “rappresentanti” dei patronati eletti nei Comites, in effetti, sono dipendenti di associazioni locali che operano sul territorio di un Paese utilizzando il marchio di un patronato italiano sulla base di una specie di “franchising” (collaborazione/affiliazione ad un marchio per la produzione e distribuzione di servizi/beni) che consente loro di fornire dei servizi di tutela e di assistenza agli italiani residenti in un determinato Paese avvalendosi del supporto tecnico della struttura di quel patronato in Italia.
ANALOGIE PERICOLOSE Pertanto, se non si dovesse tener conto di questo importante aspetto, per analogia, dovrebbe essere messa in discussione anche la presenza nei Comites di quei membri che sono rappresentanti e/o insegnanti di Enti gestori locali, che pure ricevono importanti finanziamenti da parte dello Stato italiano per gestire i corsi di lingua e cultura italiana all’estero anche attraverso una forma di “franchising”. Infatti se i rappresentanti e gli operatori delle associazioni locali che svolgono attività di patronato fossero equiparati ai dipendenti dei patronati nazionali per ritenerli ineleggibili, anche i rappresentanti e gli insegnanti degli Enti gestori locali dovrebbero essere equiparati agli insegnanti di ruolo dello Stato italiano che, come noto, sono chiaramente definiti ineleggibili dalla legge 286/2003.
TUTTI FERMI Ebbene, se passasse questa linea di pensiero e venisse fatta propria dal TAR del Lazio e dagli eventuali successivi gradi di giudizio, è evidente che molti grandi elettori delle assemblee di Paese che il 26 e 27 settembre dovranno eleggere i membri del prossimo Cgie non avrebbero alcun titolo per esprimere il loro voto mettendo a rischio la validità di queste elezioni di secondo grado. Un caos!
DOMANDA Per porre definitivamente termine a questa stucchevole diatriba perché i parlamentari eletti nella Circoscrizione Estero non si fanno carico di presentare in parlamento un emendamento alla legge 286/2003 che faccia finalmente chiarezza su questa questione che ormai si ripresenta ad ogni rinnovo dei Comites? Come diceva il poeta, ai posteri l’ardua sentenza.
*già membro del CGIE
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