È stato presentato ieri, presso la Sala della Regina di Palazzo Montecitorio, il Rapporto annuale dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale. Nel documento non mancano gli spunti di interesse rispetto all’attività di un ente al quale è affidato il compito straordinariamente impegnativo di corrispondere ai diritti di milioni di persone nella fase più delicata della loro esistenza. Non mancano, però, nemmeno limiti e disattenzioni che attengono, in particolare, al quadro internazionale delle prestazioni previdenziali. Si può dire, anzi, che il deficit di attenzione alle convenzioni internazionali aumenti in modo direttamente proporzionale rispetto al numero di giovani e di lavoratori che si trasferiscono all’estero.
Da un lato si accumulano ritardi inaccettabili nella ratifica di convenzioni bilaterali di sicurezza sociale stipulate molti anni fa, tra cui quella con il Cile, che riguarda comunità stabilmente residenti nei due paesi, o quelle con i paesi di immigrazione in Italia, tra cui Marocco, Algeria e Filippine. Dall’altro si ritarda la necessaria revisione di accordi stipulati quando le legislazioni nazionali erano profondamente diverse e che oggi risultano naturalmente invecchiati, come nel caso della Nuova Zelanda.
Ma non ci sono solo i ritardi. Non siamo ancora in grado, infatti, di rendere omogenee le iniziative bilaterali di sicurezza sociale che, oltre al necessario allineamento alle legislazioni nazionali, debbono garantire un comune denominatore nel sistema di calcolo delle prestazioni, così come nell’inclusione al trattamento minimo.
A questo si aggiunge un limite generale nell’esame del panorama internazionale di sicurezza sociale, che si manifesta nella necessità, altrettanto urgente, di adeguare le convenzioni alle mutate condizioni economiche e della mobilità professionale in ambito globale. Scopriremo che i tanti giovani professionisti che si muovono nel mondo avranno problemi legati alle coperture previdenziali quando il fenomeno, che oggi cresce a ritmi elevatissimi, arriverà a toccare le nostre tasche. Quando, cioè, sarà troppo tardi.
Ci renderemo conto allora, come Paese, di avere bisogno di inserire negli accordi i fondi integrativi pubblici, di fissare regole anche per la previdenza integrativa privata, di evitare che la portabilità delle prestazioni, con la fiscalità a essa collegata, resti relegata a un tempo della storia in cui le relazioni internazionali e la politica estera erano fatte anche di diritti e di tutele. Per tutti i lavoratori.
È bene non dimenticare, infine, che sui temi delle pensioni in regime internazionale permangono contraddizioni interpretative sull’importo aggiuntivo e sulla quattordicesima. Non mancano, insomma, i motivi di approfondimento e di impegno affinché le politiche previdenziali riescano a dare risposte ai problemi reali e ai protagonisti di oggi.
*deputato Pd eletto all’estero, residente in Australia
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