Dopo un anno e mezzo di udienze, spesso di tono laconico e frettoloso, una Corte militare di Gaza ha finalmente concluso oggi il processo contro gli assassini dell’attivista italiano Vittorio Arrigoni, condannando all’ergastolo e ai lavori forzati i due imputati principali rimasti in vita: Mahmud Salfiti (23 anni) e Tamer Hasasna (25). Un terzo imputato, Khader Ajram (26) – accusato di aver preso parte al rapimento, ma non all’uccisione del volontario lombardo – e’ stato condannato a 10 anni di reclusione. Un quarto imputato (il proprietario dell’abitazione in cui avvenne il delitto, Amer Abu Ghula, 26 anni) e’ stato condannato in contumacia a un anno di carcere. Altri tre membri della cellula salafita responsabile del rapimento – fra cui il suo capo, Abdel Rahman Brizat ‘il Giordano’ – erano rimasti uccisi nell’aprile 2011 in scontri a fuoco con le unita’ speciali di Hamas.
In un commento a caldo l’Ong umanitaria Pchr-Gaza – che ha seguito il dibattito processuale in tutte le sue fasi ‘in segno di rispetto per l’anima di Vittorio’, e malgrado lo scetticismo e le perplessita’ iniziali – ha espresso soddisfazione per la sentenza. Ha rilevato che in questa circostanza e’ stato possibile impedire che fossero inflitte condanne a morte anche perche’ la famiglia Arrigoni ha insistito affinche’ il processo si svolgesse secondo i dettami del diritto internazionale.
‘Possiamo dirci soddisfatti; – ha concluso Pchr-Gaza, in un comunicato – e’ stato in fin dei conti un processo onesto e legittimo’. Parole a cui hanno fatto eco quelle del legale italiano degli Arrigoni, l’avvocato Gilberto Pagani, che ha assistito a parte delle udienze grazie anche all’assistenza garantita dalla Farnesina attraverso il Consolato a Gerusalemme. ‘E’ una buona sentenza, il massimo che potessimo avere date le condizioni’, ha sottolineato Pagani all’ANSA, con un riferimento indiretto ai limiti di un procedimento svoltosi sotto l’ombrello del potere esercitato dagli islamici di Hamas nell’enclave palestinese. ‘Siamo contenti anche perche’ non ci sono state condanne a morte’, ha proseguito il legale ricordando come la madre di Vittorio, Egidia Beretta, sindaco del comune di Bulciago (Lecco), si fosse pronunciata fin da subito contro il ricorso alla legge del taglione e come la famiglia gli avesse commissionato ‘ due lettere ufficiali alla Corte in cui si chiedeva che non ci fossero sentenze capitali’ in omaggio alle convinzioni dalla vittima: condensate in quel motto -‘Restiamo umani’- posto a sigillo di tanti suoi scritti.
Tutti gli imputati – che oggi hanno accolto la sentenza rivolgendo sorrisi provocatori ai presenti – provengono dalle file della sicurezza di Hamas, ma rivendicano d’aver sposato per ragioni ideologiche la causa dell’Islam jihadista salafita, su posizioni ancor piu’ radicali. Dopo aver assunto un nome di battaglia (la ‘Cellula A-Hammam Mohammed Bin Maslama’) avevano orchestrato il rapimento di Arrigoni nell’intento di obbligare lo stesso Hamas – hanno affermato – a liberare uno sceicco salafita (Abu al-Walid al-Maqdesi) che in quei mesi era agli arresti a Gaza e che nel frattempo e’ stato rilasciato. Arrigoni – Vik per gli amici – fu d’altronde strangolato in un appartamento di Jabalya, nel nord della Striscia di Gaza, ancor prima dello scadere dell’ultimatum fissato dai sequestratori.
Un anno e mezzo dopo quei tragici eventi, le condanne odierne rivestono intanto pure un significato politico. Hamas appare infatti ancora impegnato a misurarsi con i gruppi salafiti, che sembrano aver persino accresciuto la loro baldanza tanto nella Striscia quanto nel confinante Sinai egiziano. Su pressione dei servizi segreti del Cairo e del nuovo vertice politico guidato in Egitto dai Fratelli Musulmani, la leadership di Gaza ha avviato di recente una serie di retate negli ambienti iper-integralisti, compiendo decine di fermi. I miliziani rilasciati hanno poi denunciato d’essere stati duramente percossi durante gli interrogatori. Ma la severita’ della sentenza Arrigoni potrebbe essere il segnale che la resa dei conti nei loro riguardi non e’ destinata a finire qui.
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